ALL’INTERNO DI LC: LA STRANA MA ESSENZIALMENTE VERA STORIA DI LAUREL CANYON E LA NASCITA DELLA GENERAZIONE HIPPIE (PARTE V)

Fonte: Center For An Informed America

Di Dave McGowan
6 giugno 2008

“Chiamateli freak, underground, controcultura, figli dei fiori o hippie – sono tutte etichette sparse per definire la cultura giovanile degli anni ’60…”

Barry Miles, autore di Hippie

“Ecco come ricordo la mia vita. Altre persone potrebbero non avere gli stessi ricordi, nonostante potremmo aver condiviso parte delle medesime esperienze”.

Così inizia l’autobiografia di David Crosby, Long Time Gone (co-scritta da Carl Gottlieb). A quanto pare, molti altri sembrano ricordare alcune persone nel corso della vita di Crosby che vengono quasi accantonate all’interno del lungo libro. I nomi vengono casualmente snocciolati una volta sola, e non da Crosby ma piuttosto in una citazione fatta dal manager Jim Dickson in cui descrive la scena nei club di Sunset Strip dove suonavano i Byrds: “C’erano tutti. Abbiamo fatto ballare Jack Nicholson, abbiamo fatto ballare Peter Fonda con Odetta, abbiamo avuto i Vito and his Freakers”.

Dopo quella breve menzione fatta da Dickson, Gottlieb spiega brevemente ai lettori che i “Vito and his Freakers erano una famiglia allargata di conviventi intrisa di acido con danni cerebrali”. E questa, in un tomo di 489 pagine incredibilmente autoindulgente, è l’unica menzione che troverete sui “Vito and his Freakers” – nonostante il fatto che, da quasi tutti gli altri resoconti, il gruppo fosse stato bollato come i “conviventi con danni cerebrali” la cui etichetta giocò un ruolo chiave nei primi successi della band di Crosby. E nei primi successi della band di Arthur Lee. E in quelli della band di Frank Zappa. E della band di Jim Morrison. Ma soprattutto nei primi successi della band di David Crosby.

Come ha notato Barry Miles nella sua biografia su Frank Zappa, “I Byrds erano strettamente associati a Vito e ai Freaks: Vito Paulekas, sua moglie Zsou e Karl Franzoni, i leader di un gruppo di circa 35 ballerini le cui buffonate hanno animato i primi concerti dei Byrds.” In Waiting for the Sun, Barney Hoskyns scrive che i primi successi dei Byrds e di altre band fu dovuto in gran parte alla “troupe itinerante di sedicenti “freaks” guidati dal capellone vintage Vito Paulekas e dal suo fidato e vigoroso aiutante Carl Franzoni.” Alban “Snoopy” Pfisterer, ex batterista e tastierista della band Love, è andato oltre, affermando che Vito in realtà “ha messo insieme i Byrds, da quel che ricordo – fecero molte prove presso il suo pad”.

E secondo molti altri resoconti, i Byrds hanno effettivamente utilizzato il “pad” di Vito come sala prove, come fece la band di Arthur Lee. Ancora più importante, i Freaks hanno attirato la folla nei club per vedere le esibizioni delle band alle prime armi. Ma per quanto importante sia stato il loro contributo nell’aiutare a lanciare le carriere delle band di Laurel Canyon, i “Vito and his Freakers” si sono distinti anche per qualcos’altro; secondo Barry Miles, dal suo libro Hippie, “I primi hippie di Hollywood, forse i primi hippie ovunque, furono Vito, sua moglie Zsou, Captain Fuck e il loro gruppo di circa trentacinque ballerini. Si facevano chiamare Freaks, vivevano una vita semi-comunitaria e si impegnavano in orge sessuali e in una qualche forma di danza libera ogni volta che potevano.

Alcuni di quelli hanno vissuto la scena di quel momento concordano con la valutazione di Miles che Vito e la sua troupe fossero davvero i primissimi hippie. Arthur Lee, per esempio, si vantava del fatto che avessero “lanciato l’intera faccenda hippie: Vito, Karl, Szou, Beatle Bob, Bryan e io”. Uno dei Byrds, socio di David Crosby, Chris Hillman, ha anche attribuito allo strano gruppo l’essere all’avanguardia nel movimento hippie: “Carl e tutti quei ragazzi erano molto più avanti rispetto a tutto il resto nella moda hippiedom”. Anche Ray Manzarek dei Doors li ha ricordati: “C’erano questi ragazzi di nome Carl e Vito che avevano una troupe di ballerini zingari. Li lasciavano entrare gratuitamente, perché erano gli hippie per antonomasia, e ciò era fantastico per i turisti”.

Se queste persone fossero davvero i primissimi hippie, i primi a cavalcare quell’ondata “contro-culturale”, allora forse dovremmo cercare di approfondire sul loro conto. Tuttavia, da quel che si evince, non è una cosa così semplice. La maggior parte dei resoconti – e non sono così tanti – offrono poco più che pochi nomi, senza neanche alcun accordo consensuale su come quei nomi fossero sillabati (“Karl” e “Carl” appaiono intercambiabili, così come “Szou” e “Zsou” e “Godot” e “Godo”). Ma per voi, cari lettori – visto che a quanto pare ho troppo tempo a disposizione – ho fatto il possibile e ho setacciato i detriti per scovare almeno qualche sordido dettaglio.

A detta di tutti, la troupe era guidata da un certo Vito Paulekas, il cui nome completo sarebbe stato Vitautus Alphonsus Paulekas. Nato nel 1912 da un salumiere lituano, Vito era originario di Lowell, nel Massachusetts. Fin dalla giovane età, ha sviluppato l’abitudine ad entrare in conflitto con la legge. Secondo Miles, da adolescente ha trascorso un anno e mezzo in un riformatorio ed “è stato arrestato diverse volte dopo quel periodo”. Nel 1938 fu condannato per rapina a mano armata e condannato a 25 anni a seguito di un fallito tentativo di rapina ad un cinema. Nel 1942, tuttavia, appena quattro anni dopo, venne rilasciato sotto la custodia, tanto per dire, della US Merchant Marine (un ramo della US Navy in tempo di guerra), ufficialmente per scortare le navi che eseguivano missioni di prestito-locazione.

Dopo il suo congedo, intorno al 1946, Vito arrivò a Los Angeles. Quello che fece per i successivi quindici anni o giù di lì si tira a indovinare a detta di chiunque; non c’è praticamente alcuna menzione di quegli anni in nessuno dei resoconti in cui mi sono imbattuto. Quello che si sa è che all’inizio degli anni ’60, Vito era sistemato in un edificio senza pretese all’angolo tra Laurel Avenue e Beverly Boulevard, appena sotto la foce di Laurel Canyon (e molto vicino al parrucchiere di Jay Sebring). Al livello stradale c’era la boutique di abbigliamento della sua giovane moglie Szou, che per alcuni di quelli che a quel tempo supportavano la scena era motivo di vanto per il fatto di essere stata la prima a introdurre la moda “hippie”. Al piano superiore c’erano gli alloggi di Vito, Szou e del loro giovane figlio Godot. Al piano inferiore c’era quello che era conosciuto come lo studio “Vito Clay”, dove, secondo Miles e molti altri, Paulekas “si guadagnava da vivere dando lezioni di modellazione con l’argilla alle matrone di Beverly Hills che trovavano eccitante l’atmosfera nel suo studio”.

Secondo la maggior parte dei resoconti, non era proprio l’arredamento della tomba Maya dello studio che molte delle matrone trovavano così eccitante, ma piuttosto l’insaziabile appetito sessuale di Vito e il fisico di John Holmesian. In ogni caso, gli studenti di Vito apparentemente includevano anche luminari di Hollywood come Jonathon Winters, Mickey Rooney e Steve Allen. Tuttavia, sebbene Paulekas affermasse di essere un artista serio (pittore, poeta, ballerino e fotografo, oltre che scultore), ci sono poche prove che io abbia visto a sostegno di tali affermazioni (ad ogni modo, non sono il più obiettivo dei critici d’arte, tanto sono, tanto posso constatare, in apparenza non sono abbastanza colto da “capire” la maggior parte di quello che sta a significare arte).

Per quanto riguarda il suo ex compagno, Carl Orestes Franzoni, affermò nelle interviste che sua “madre era una contessa” e suo padre “era un intagliatore di pietre di Rutland, nel Vermont. La famiglia venne condotta dall’Italia, dalle cave del nord Italia, per recuperare la pietra necessaria per i monumenti degli Stati Uniti”. Questo farebbe di suo padre, posso ipotizzare, qualcuno di una certa importanza nella comunità massonica, stando alle dichiarazioni di Carl. Secondo il racconto di Franzoni, è cresciuto come una specie di teppistello a Cincinnati in Ohio, e in seguito è entrato in affari con alcuni loschi personaggi siciliani vendendo tiralatte e pompe per il pene per corrispondenza da un indirizzo sulla favolosa Melrose Avenue di Los Angeles. Come ha ricordato Franzoni, il suo “socio d’affari si chiamava Scallacci, Joe Scallacci – lo stesso nome del famoso assassino Scallacci. Probabilmente appartenente alla stessa famiglia.

Franzoni, nato intorno al 1934, si è unito al vecchio Paulekas intorno al 1963 e poco dopo è diventato il suo tirapiedi abituale. Come accennato in precedenza, il gruppo includeva anche la moglie di Vito, Szou, un’ex cheerleader che aveva fatto amicizia con Paulekas quando lei aveva appena sedici anni e lui era già sulla cinquantina. Nella troupe c’era anche una giovane Rory Flynn (figlia statuaria di Errol Flynn), un personaggio bizzarro di nome Ricky Applebaum che aveva mezzo baffo da un lato e mezza barba dall’altro, la maggior parte delle ragazze che sarebbero poi diventate parte del progetto GTO di Frank Zappa e molti altri personaggi stravaganti che hanno indossato pseudonimi ridicoli come Linda Bopp, Butchie, Beatle Bob, Emerald e Karen Yum Yum.

Inoltre ai margini della compagnia di ballo svolazzavano una giovane Gail Sloatman (la futura signora Zappa, per chi l’avesse già dimenticato) e un curioso personaggio della scena musicale di Los Angeles di nome Kim Fowley. I due sono stati, per un periodo, soci stretti, e hanno persino inciso un disco insieme come “Bunny and the Bear” che Fowley ha prodotto (“America’s Sweethearts”). Nel 1966, Fowley produsse anche un disco per Vito, promosso col titolo “Vito and the Hands”. Il singolo da 7″, “Where It’s At”, che ha caratterizzato la musicalità di alcuni dei Mothers of Invention di Frank Zappa, non è arrivato neanche vicino ad entrare nelle classifiche volute rispetto allo sforzo compiuto da Fowley e Sloatman. Sloatman, tra l’altro, ha presto trovato lavoro come assistente e agente di prenotazione per Elmer Valentine, di cui parleremo a breve.

Fowley, come tanti altri personaggi in questa storia, ha un profilo piuttosto interessante. Era nato nel 1939, figlio dell’attore Douglas Fowley, un veterano della Marina della seconda guerra mondiale e frequentatore dell’Accademia militare di St. Francis Xavier. Secondo il racconto del giovane Fowley, è stato inizialmente abbandonato in una famiglia adottiva, ma in seguito ripreso e cresciuto da suo padre. È cresciuto nella lussuosa Malibu, in California, in cui ha condiviso la casa della sua infanzia con “un gruppo di attori e membri della Marina”. All’età di sei anni e mezzo, Fowley ha avuto un’esperienza insolita che ha poi condiviso con l’autore Michael Walker: vestito con un abito da marinaio da suo padre e dai suoi compagni di Marina, è stato condotto “da un fotografo di nome William, che mi ha fatto una foto vestito da marinaio. Il suo studio era accanto al Canyon [Country] Store”. Subito dopo, è stato accompagnato lungo la Laurel Canyon Boulevard fino al quasi mitico Schwabs Drugstore, dove “tutti hanno applaudito e due ragazze del coro hanno afferrato il mio cazzo e le mie palle da seienne e mi hanno infilato in bocca un dolciume sigaretta”.

Bella storia, signor Fowley. Grazie per la condivisione.

È probabilmente lecito ritenere che esperienze infantili come quella avessero contribuito a preparare Fowley al suo successivo impiego come giovane teppistello di strada, una professione che ha esercitato nelle squallide strade della città degli angeli (come per Fowley, dovrei forse aggiungere, proprio come successe con lo stesso James Dean che sosteneva di aver lavorato per quelle stesse strade con Nick Adams). In seguito, Fowley trascorse un po’ di tempo al servizio della Guardia nazionale dell’esercito, dopodiché dedicò la sua vita a lavorare nell’industria musicale di Los Angeles come musicista, scrittore e produttore, nonché, secondo alcuni resoconti, come manipolatore provetto.

Intorno al 1957, Fowley suonò in una band conosciuta come gli Sleepwalkers, insieme al futuro Beach Boy Bruce Johnston. Qualche volta, un piccolo chitarrista di nome Phil Spector – che si era trasferito a Los Angeles con sua madre non molti anni prima, dopo il suicidio di suo padre quando Phil aveva solo nove anni – suonò con il gruppo. Durante gli anni ’60, Fowley era meglio conosciuto per aver prodotto canzoni ridicole ma amate come “Alley Oop” degli Hollywood Argyles e “Papa Oom-Mow-Mow” dei Rivington, sebbene abbia svolto anche lavori più rispettabili, come la collaborazione in alcune tracce dei Byrds e come alcune delle sue canzoni originali siano state coverizzate sia dai Beach Boys che dai Flying Burrito Brothers.

Nel 1975, Fowley ebbe forse il suo più grande successo quando creò i Runaways, abbassando ulteriormente l’asticella che Frank Zappa aveva già sistemato piuttosto in basso alcuni anni prima quando aveva creato e registrato i GTO. la band Runaways presentava versioni minorenni di Joan Jett e Lita Ford, che Fowley vestì con gusto in pelle e lingerie. Atto di cui si sarebbe vantato in seguito, “Tutti adoravano l’idea di ragazze di 16 anni che suonavano la chitarra e cantavano cose riguardo allo scopare”. Immagino, soprattutto i loro genitori. Alcune delle giovani ragazze della band, inclusa Cherie Curry, avrebbero in seguito accusato Fowley di richiedere loro servizi sessuali per lui e i suoi associati come prerequisito di appartenenza al gruppo.

Prima di mettere insieme i Runaways, uno dei più orgogliosi successi di Fowley fu produrre l’album del 1969 “I’m Back and I’m Proud” del pioniere del rockabilly Gene Vincent, con i cori della canyonita Linda Ronstadt. Solo due anni dopo, Vincent – un veterano della Marina cresciuto in quella penultima città della Marina, Norfolk, in Virginia – lasciò definitivamente l’Hotel California il 12 ottobre 1971 (ancora quella data), a quanto pare a causa di un’ulcera allo stomaco lesionata. Non molto tempo prima della sua morte, Vincent era stato in tournée nel Regno Unito, ma era tornato frettolosamente negli Stati Uniti a causa delle pressioni, tra gli altri, del promoter Don Arden. Conosciuto in modo non troppo affettuoso come l'”Al Capone del Pop”, Arden aveva un debole per le armi e la violenza ed era noto perché si vantava apertamente della sua affiliazione con potenti figure della criminalità organizzata.

Ecco qua un altro traguardo dei Fowley’s bears: è stato inserito come guest voice tra i credits dell’album “Freak Out” dei Mothers of Invention, allo stesso modo Vito Paulekas e il suo compagno, Carl Franzoni, a cui è stata dedicata la canzone “Hungry Freaks, Daddy” (alcune fonti affermano che Bobby Beausoleil abbia anche fatto la guest voice nell’album di debutto di Zappa, sebbene il suo nome non appaia nei titoli di coda dell’album).

Neanche il tempo di entrare nel 1962, non molto tempo prima che Carl Franzoni si unisse al gruppo, la troupe dei Freak girava già i club un paio di sere a settimana per perfezionare il loro stile unico di danza (forse meglio descritto come un attacco epilettico musicato) e mostrare il loro senso della moda a vista d’occhio poco attraente, anche se presto molto popolare. In quei primi giorni, ballavano con gruppi R&B di neri locali e con una band di Fresno nota come i Gauchos, in luoghi parecchio lontani dalla favolosa Sunset Strip – perché, diceva Franzoni, “Non c’erano band bianche [a Los Angeles] ancora” e “Non c’erano club sulla Sunset Boulevard”.

Tutto ciò, come ovvio, stava rapidamente per cambiare. Come per magia, intorno al 1964 iniziarono a sorgere nuovi club lungo la leggendaria Sunset Strip, e i vecchi club considerati da tempo lontani dal loro apice riemersero miracolosamente. Nel gennaio del 1964, un giovane vice poliziotto di Chicago di nome Elmer Valentine aprì le porte dell’ormai famoso nightclub Whisky-A-Go-Go. Dopo poco più di un anno, nella primavera del 1965, aprì un secondo club che presto sarebbe diventato molto popolare, The Trip. Non molto tempo prima, verso la fine del 1964, il leggendario locale notturno Ciro’s iniziò a subire un’ampia ristrutturazione. Aperto nel 1940 da Billy Wilkerson, un socio di Bugsy Siegel, il club di lusso fiorì per i primi vent’anni della sua esistenza, con una clientela che includeva regolarmente i reali di Hollywood e personaggi della criminalità organizzata. All’inizio degli anni ’60, però, lo Strip cessò l’attività e il club un tempo prestigioso andò in rovina.

Il Ciro’s ha riaperto all’inizio del 1965, poco prima che il The Trip aprisse le sue porte e appena in tempo, a quanto pare, per ospitare la prima apparizione in un club dei musicisti che stavano per diventare la prima band di Laurel Canyon a registrare una canzone su vinile: i Byrd. Nel 1967, anche Gazzaris aprì sulla Strip, e nei primi anni ’70 Valentine avrebbe aperto un altro club che è attivo ancora oggi, The Roxy. A metà degli anni ’60, club più piccoli come il London Fog, dove i Doors ottennero il loro primo ingaggio come house band all’inizio del 1966, aprirono anche le loro porte al pubblico.

La tempistica dell’apertura dei primi due locali di Valentine e di quella della riapertura del Ciro’s non poteva essere più fortuita. La vernice era appena asciutta sulle pareti dei nuovi club quando band come i Love, i Doors, i Byrds, i Buffalo Springfield, i Turtles, i Mothers e i Lovin’ Spoonful vi bussarono. Il problema, tuttavia, era che i nuovi club non erano ancora molto conosciuti, quello del Ciro’s era stato a lungo dato per morto e nessuno aveva la minima idea di chi fosse uno di questi nuovi gruppi. Ciò che serviva allora era un modo per creare un brusio intorno ai club che avrebbe attirato le persone e riportato in vita lo Strip, oltre, naturalmente, a lanciare le carriere delle nuove band.

Non ci si poteva aspettare che le band stesse riempissero i nuovi club, dal momento che, oltre ad essere degli sconosciuti, non erano – e sì, lo so che non volete sentirlo davvero e sarò senza dubbio sommerso di lettere di reclamo, ma io lo dirò comunque – non erano così bravi, almeno non nelle loro incarnazioni dal vivo. A dire il vero, suonavano benissimo su vinile, ma ciò era in gran parte dovuto al fatto che i membri della band stessi non suonavano sui loro dischi (almeno non agli inizi), e le ricche armonie vocali che erano un marchio di fabbrica del “sound di Laurel Canyon” sono state create in studio con una buona dose di multi-traccia e sovra-incisioni. Sul palco era tutta un’altra cosa.

Fa il suo debutto quindi la squadra selvaggiamente sgargiante e colorata di Freak, che era una componente chiave della strategia ideata per attirare i clienti nei club (l’altra componente della strategia, accennata in una delle citazioni nella parte superiore di questo articolo, che verrà sviluppata nell’episodio #7). I ballerini di Vito e Carl sono stati un appuntamento fisso sulla scena del Sunset Strip dal momento stesso in cui i nuovi club hanno aperto le porte al pubblico, e sono stati, a detta di tutti, trattati come dei re dai proprietari dei club. Come ha riconosciuto John Hartmann, proprietario del Kaleidoscope Club, “lasciava entrare gratuitamente Vito e i suoi ballerini al Kaleidoscope ogni settimana perché attiravano pubblico. Erano davvero hippie, quindi dovevamo averli. Entravano gratis praticamente ovunque andassero. Benedivano la tua canna. Ti legittimavano.

Come ha affermato il suddetto Kim Fowley, con caratteristica schiettezza, “Una band non doveva essere brava, finché erano presenti dei ballerini”. In effetti, per ciò che si stava svolgendo sulla pista da ballo, la band era in gran parte irrilevante, oltre a fornire una parvenza di colonna sonora per il vero show. Gail Zappa ammise candidamente che, anche agli spettacoli del marito, la vera attrazione non era sul palco: “I clienti venivano a vedere ballare i freak. Nessuno ne parla mai, ma era così”. Frank aggiunse che: “Appena arrivati ​​avrebbero fatto accadere le cose, perché ballavano in un modo che nessuno aveva mai visto prima, gridando e urlando a squarciagola sulla pista e facendo ogni genere di cose strane. Erano vestiti in un modo che non si poteva credere e davano vita a tutto quello che stava per succedere”.

Per ragioni che chiaramente avevano più a che fare con l’aumento delle presenze nei club che con i veri talenti mostrati dal gruppo, Vito e Carl sembravano esser diventati dei beniamini dei media nel corso degli anni ’60 e degli anni ’70. I due si possono ammirare, separatamente e insieme, in una serie di film di sfruttamento economico, tra cui Mondo Bizarro del 1966, Something’s Happening (alias The Hippie Revolt) del 1967, il famigerato Mondo Hollywood, anch’esso uscito nel 1967, e You Are What You Eat, con David Crosby, Frank Zappa e Tiny Tim, uscito nei cinema nel 1968. Nel 1972, Vito ha debuttato come attore in un film non documentario, The White Horse Gang.

Secondo quanto riferito, Paulekas è apparso anche in You Bet Your Life di Groucho Marx e Franzoni è apparso in uno speciale televisivo di Dick Clark del 1968. Il bambino d’oro, Godot Paulekas, è apparso in una foto sulla rivista Life intorno al 1966 e l’intera troupe si è presentata per un’apparizione al Tonight Show. Secondo Barry Miles, Vito “apparve regolarmente anche al Joe Pyne Show e tra le ragazze a seno nudo delle riviste maschili della fine degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta”.

Joe Pyne, per quelli di voi troppo giovani per ricordarlo (me compreso), è il ragazzo che dobbiamo ringraziare per aver aperto la strada ad artisti del calibro di Bill O’Reilly, Rush Limbaugh, Sean Hannity, Michael Savage, Don Imus, Morton Downey Jr., Jerry Springer e Wally George. Riguardo a Mr. Pyne, vedete, è stato il ragazzo che ha aperto la strada allo stile di intervista conflittuale preferito da così tanti palloni gonfiati di oggi. Il decorato veterano del Corpo dei Marines ha debuttato come conduttore di talk-radio nel 1950 ed è diventato rapidamente noto per aver insultato e umiliato chiunque avesse osato non essere d’accordo con lui, sia ospiti che ascoltatori. Nel 1957 trasferì il suo spettacolo a Los Angeles e nel 1965 fu sindacato a livello nazionale sia alla radio che alla televisione. I suoi bersagli preferiti, come avrete intuito, includevano hippie, femministe, gay e attivisti contro la guerra, e le sue interviste finivano spesso con l’ospite che se ne andava o veniva buttato giù dal palco. Quasi all’apice della sua popolarità, Pyne morì il 23 marzo 1970 all’età di quarantacinque anni, secondo quanto riferito di cancro ai polmoni. La sua progenie ideologica, tuttavia, sopravvive.

Continua…

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