PERCHÉ TUTTO QUELLO CHE CREDETE DI SAPERE SULL’ASSASSINIO DI LINCOLN È SBAGLIATO (PARTE IX)

Fonte: Center For An Informed America

Di Dave McGowan
21 ottobre 2014

Se c’è qualcosa di cui possiamo essere certi riguardo all’assassinio del presidente Abraham Lincoln, è che non sapremo mai cosa è realmente accaduto la notte del 14 aprile 1865 intorno alle 22:15 all’interno del palchetto presidenziale al Ford’s Theatre.

Oltre al tizio che ha eseguito una fuga frettolosa dal palchetto e attraverso la porta sul retro, e il tizio che si è preso una pallottola alla testa e non ha mai ripreso conoscenza, c’erano, a seconda della versione degli eventi a cui decidiamo di credere, o tre o quattro testimoni oculari presenti in quel palchetto quella fatidica sera. Mary Todd Lincoln era sicuramente presente, così come il maggiore Henry Rathbone e la sua fidanzata/sorellastra Clara Harris. Secondo alcuni resoconti (incluso quello di Forbes) c’era anche l’assistente presidenziale Charles Forbes.

La comitiva di Lincoln arrivò al teatro intorno alle 20:30, circa mezz’ora dopo l’inizio dello spettacolo, Our American Cousin. Lo spettacolo venne brevemente interrotto quando la band suonò “Hail to the Chief”, accompagnata da una travolgente ovazione della folla, dopo di che i Lincoln e i loro ospiti si sedettero tranquillamente e lo spettacolo riprese. Circa due ore dopo, il presidente giaceva morente con una pallottola di piombo conficcata nel cervello.

Dei quattro potenziali testimoni oculari, nessuno è mai stato interrogato dai giornalisti. Né uno che fosse interrogato dalle autorità. O uno che fosse deposto. O solo uno che fosse chiamato a testimoniare su ciò che vide quella sera. Neanche uno che avesse mai parlato pubblicamente in qualche modo di ciò che accadde esattamente all’interno di quel palchetto. Nonostante il fatto che l’assassinio di Lincoln sia stato annunciato come il crimine del secolo, le autorità sembrano non aver avuto alcun interesse a parlare con il manipolo di persone che assistettero effettivamente all’evento.

Per quanto riguarda Mary Todd Lincoln, le uniche sue parole che siano mai state rese pubbliche sulla morte di suo marito provenivano da una lettera personale che inviò ad Edward Lewis Baker Jr. nel 1877, dodici anni dopo l’assassinio. E quelle parole stranamente punteggiate non illuminano affatto sugli eventi di quella sera: “Dio, donaci i nostri cari, li facciamo nostri idoli, vengono tolti a noi, e dobbiamo pazientemente aspettare il tempo, quando, Egli, ci riunisce a loro. E l’attesa, è davvero lunga! I miei lutti, sono stati così intensi, il più amorevole e devoto dei mariti, strappato dal mio fianco, la mia mano nella sua, in quel frangente – e Dio ha richiamato da questa terra, i figli, più idolatri, più nobili, più puri, più talentuosi – che siano mai stati donati ai genitori – La loro imponente e incantevole presenza – troppo giusta per questo mondo, così pieno di dolore – Eppure verrà il tempo, in cui la separazione, sarà finita, marito, moglie e figli insieme – mai più separati – Mi addoloro per coloro che sono stati chiamati a rinunciare ai propri cari, e finché non sorgerà su di noi l’alba di un tempo più felice, non sapremo mai fino ad allora, perché ci ha fatto visita tale dolore”.

Allo stesso modo Clara Harris era a denti stretti su ciò a cui assistette al Ford’s Theatre. Anche il suo racconto proviene da una corrispondenza personale, scritta il 29 aprile 1865, appena due settimane dopo la tragedia: “Quel terribile venerdì sera è per me tuttavia quasi come una spaventosa visione… Quella sera noi quattro componevamo la comitiva. Si diressero verso la nostra porta in ottimo umore; chiacchierando durante il tragitto – e il Presidente è stato accolto con il più grande degli entusiasmi. Si dice che fossimo stati presi di mira dagli assassini; sì, appena siamo scesi dalla carrozza. Oh, come potrebbe qualcuno essere così crudele da colpire quel viso gentile, caro, onesto! E quando penso a quel demonio che si rinchiude da solo con noi, mi si gela il sangue. Il mio vestito è impregnato di sangue; le mie mani e il mio viso ne erano coperti. Potete immaginare che scena! E continuò, per tutta quella terribile notte, quando siamo stati vicino a quel capezzale. La povera signora Lincoln stava e sta quasi per impazzire. Henry è scampato per poco dalla sua morte. Il coltello lo colpì al cuore con tutta la forza di un braccio potente ed esperto; fortunatamente parò il colpo, e venne ferito al braccio, una fertia che si estendeva lungo l’osso, dal gomito fin quasi alla spalla. Lo nascose per un po’, ma alla fine venne trasportato a casa privo di sensi; la perdita di sangue da un’arteria e vene recise fu davvero copiosa. Adesso sta abbastanza bene, ma non riesce ancora ad utilizzare il braccio…”

Fu solo quasi trent’anni dopo l’assassinio che Charles Forbes fornì una testimonianza giurata; purtroppo anche quella testimonianza non fa luce sugli eventi di quella sera: “Sono stato l’assistente personale del defunto presidente Lincoln da poco dopo il suo primo insediamento fino al momento in cui cadde per la pallottola dell’assassino… L’ho accompagnato in carrozza, ero con lui nel tragitto dalla carrozza al palchetto del teatro, ed ero nel palchetto quando l’assassino ha sparato il suo colpo fatale”. Curioso che quasi tre decenni dopo che John Wilkes Booth venne identificato come l’assassino, Forbes si riferisse a lui semplicemente come “l’assassino”.

E questo, cari lettori, è la somma totale di quello che abbiamo da tre dei quattro testimoni oculari. Considerando ancora una volta che questo era, come potrei aver già detto, il Crimine del Secolo, è un insieme di circostanze piuttosto notevole.

Resta quindi solo la storia raccontata dal maggiore Henry Rathbone, che sappiamo già essere una storia irrimediabilmente scritta e preparata che ha raccontato sotto giuramento quasi esattamente con le stesse parole in non meno di tre occasioni. Eppure è l’unico resoconto che abbiamo – l’unico resoconto che avremo mai – quindi dobbiamo guardarlo nella sua interezza, come originariamente pronunciato nella sua deposizione del 17 aprile 1865. È una storia strana, certo, e sembrerebbe indicare che Rathbone abbia passato più tempo a studiare le caratteristiche fisiche della stanza che a guardare lo spettacolo:

“Il palco assegnato al Presidente si trova nel secondo livello, sul lato destro del pubblico ed è stato occupato dal Presidente e dalla signora Lincoln, dalla signorina Harris, da questo testimone e da nessun’altro. Si entra nel palchetto passando dalla parte anteriore dell’edificio nella parte posteriore della prima galleria verso un piccolo ingresso o passaggio di circa otto piedi di lunghezza e quattro piedi di larghezza. A questo passaggio si accede da una porta che si apre verso il lato interno. Questa porta è posta in modo da formare un angolo acuto tra essa e il muro retrostante sul lato interno. All’estremità interna di questo passaggio c’è un’altra porta che si trova esattamente di fronte e da accesso al palchetto. Sul lato sinistro del passaggio e molto vicino all’estremità interna c’è una terza porta che da accesso anch’essa al palchetto. Quest’ultima porta era chiusa. Il gruppo ha fatto ingresso nel palchetto attraverso la porta in fondo al corridoio. Il palchetto è costruito in modo tale da poter essere diviso in due zone da un tramezzo mobile, in ciascuna delle quali si apre una delle porte descritte. La parte anteriore del palchetto è lungo circa dieci o dodici piedi e al centro della ringhiera c’è un piccolo pilastro sovrastato da una tenda. La profondità del palchetto dalla parte anteriore a quella posteriore è di circa nove piedi. L’elevazione del palchetto dal palcoscenico, inclusa la ringhiera, è di circa dieci o dodici piedi”.

“Quando il gruppo ha fatto ingresso nel palchetto, si trovava in piedi all’estremità del palco più lontana dal palco e più vicina al pubblico una poltrona imbottita. Questo era anche il punto più vicino alla porta da cui si accedeva al palchetto. Il presidente si è seduto su questa sedia e, tranne per il fatto che una volta ha lasciato la sedia allo scopo di indossare il soprabito, è rimasto lì seduto fino a quando non gli hanno sparato. La signora Lincoln era seduta su una sedia tra il Presidente e il pilastro al centro, sopra descritto. All’estremità opposta del palchetto, quella più vicina al palcoscenico, c’erano due sedie. In una di queste, in piedi in un angolo, era seduta la signorina Harris. Alla sua sinistra e lungo il muro che correva da quell’estremità del palchetto verso il retro c’era un piccolo divano. In fondo a questo divano accanto alla signorina Harris era seduto questo testimone, e il presidente, mentre erano seduti, si trovava a circa sette o otto piedi, e la distanza tra questo testimone e la porta era circa la medesima. La distanza tra il presidente seduto e la porta era di circa quattro o cinque piedi. La porta, secondo i ricordi di questo testimone, non è stata chiusa durante la serata”.

“Mentre si stava svolgendo la seconda scena del terzo atto e mentre questo testimone stava osservando attentamente l’atto sul palco con le spalle rivolte alla porta, udì alle sue spalle lo sparo di una pistola e guardandosi intorno vide attraverso il fumo, un uomo tra la porta e il presidente. Allo stesso tempo il testimone lo sentì gridare una parola che egli stesso pensò fosse “Libertà”. Questo testimone balzò immediatamente verso di lui e lo afferrò. Si divincolò dalla presa e diede un violento colpo al petto di questo testimone con un grosso coltello. Il deponente parò il colpo con un braccio e subì una ferita profonda diversi centimetri nel braccio sinistro tra il gomito e la spalla. Il taglio della ferita era lungo circa un pollice e mezzo e si estendeva verso la spalla per diversi pollici. L’uomo si precipitò davanti al palco e il testimone tentò di catturarlo di nuovo, ma afferrò i suoi vestiti solo mentre saltò oltre la ringhiera del palco. I vestiti, come crede questo testimone, vennero strappati nel tentativo di catturarlo. Mentre saliva sul palcoscenico, il testimone gridò a gran voce “Fermate quell’uomo”. Il testimone si è quindi rivolto verso il presidente. La sua posizione non era cambiata. Aveva la testa leggermente piegata in avanti e gli occhi chiusi. Il testimone si accorse che fosse privo di sensi e, supponendo fosse morente, si precipitò alla porta con lo scopo di chiamare i soccorsi. Raggiunta la porta esterna del passaggio come sopra descritto, il testimone lo trovò sbarrato con un pesante pezzo di legno, di cui un’estremità era fissata al muro e l’altra appoggiata alla porta. Era stato fissato così saldamente che era necessaria una forza considerevole per rimuoverlo. Questo cuneo o sbarra era a circa quattro piedi dal pavimento. Le persone all’esterno battevano contro la porta per entrare. Il testimone tolse la sbarra e la porta venne aperta. Fu consentito l’ingresso a diverse persone che si presentavano come chirurghi. Il testimone riconobbe il colonnello Crawford e gli chiese di impedire ad altre persone di entrare nel palchetto. Il testimone è quindi tornato verso il palchetto e ha trovato il chirurgo ad esaminare il corpo del presidente. Non avevano ancora scoperto la ferita. Non appena venne scoperta, si decise di portarlo via dal Teatro. Venne trasportato da questo testimone e poi si adoperò per aiutare la signora Lincoln, che era fortemente provata, a lasciare il teatro. Giunti in cima alle scale, il testimone chiese al maggiore Potter di aiutarlo ad assistere la signora Lincoln dall’altra parte della strada fino al luogo in cui il presidente era stato trasportato. La ferita che il testimone aveva ricevuto sanguinava copiosamente e giunto sul luogo, sentendosi quasi svenire per la perdita di sangue, si sedette nell’atrio e poco dopo svenne e venne adagiato sul pavimento. Quando è rinvenuto il testimone è stato portato in carrozza alla sua residenza.

“In revisione di questo atto è convinzione di questo testimone che il tempo trascorso tra lo sparo della pistola e il momento in cui l’assassino è saltato fuori dal palchetto non ha superato i trenta secondi. Né la signora Lincoln né la signorina Harris avevano lasciato i loro posti”.

La deposizione di Rathbone e la successiva testimonianza sono state fornite in un momento in cui gli avvocati non avevano il lusso di presentare prove fotografiche per preparare la scena per i giurati. Sembra quindi che i pubblici ministeri abbiano usato la sua dettagliata descrizione fisica per dipingere un’immagine mentale per quelli in aula. Ed è molto difficile credere che Rathbone abbia offerto spontaneamente una simile testimonianza. Questi dettagli gli sono stati senza dubbio forniti come parte del copione che sembra aver seguito.

Esaminiamo ora tutti gli altri motivi per cui il resoconto di Rathbone è seriamente carente di credibilità. Prima di tutto, afferma che il presunto aggressore sia rimasto nel palchetto fino a trenta secondi dopo aver sparato a Lincoln, abbastanza a lungo da lottare con Rathbone e ferirlo gravemente. Ma i resoconti di altri testimoni a teatro quella sera contraddicono direttamente questa informazione. Un testimone identificato solo come “Basset”, ad esempio, ha affermato che “Un secondo dopo lo sparo un uomo è saltato sopra la balaustra del palchetto”. Il testimone Frederick Sawyer ha scritto che “L’intero evento, lo sparo, il salto, la fuga – è stato fatto in un intervallo di otto secondi”. L’attore Harry Hawk, dopo aver descritto la sequenza degli eventi, ha affermato che “Tutto ciò è avvenuto nello spazio di pochi secondi, e all’epoca non mi ero accorto che il presidente fosse stato colpito”.

Quanto tempo allora è trascorso durante la presunta lotta con Rathbone? E se Rathbone fosse stato alle prese con un assalitore mentre quest’ultimo stava saltando oltre la ringhiera anteriore, come sosteneva Rathbone, quelle azioni sarebbero state visibili a molti dei testimoni nel teatro. Eppure nessuno dei testimoni che hanno affermato di aver visto l’uomo saltare dal palchetto ha menzionato di averlo visto alle prese con Rathbone né prima né durante la lotta.

Un altro problema è che Rathbone afferma di aver subito una ferita sostanziale che ha sanguinato copiosamente, tanto che la sua fidanzata si sarebbe ritrovata inzuppata di sangue, eppure di tutti i testimoni che hanno affermato di aver visto l’uomo in fuga in modo evidente brandire un grosso coltello mentre si apprestava all’uscita attraverso il palcoscenico, nessuno di loro ha menzionato il fatto di aver visto sangue su quel coltello. O sulle mani dell’uomo. O sui suoi vestiti. Com’è possibile che abbia potuto accoltellare Rathbone così gravemente, e poi continuare a lottare con lui, e se ne sia andato senza tracce di sangue su di lui?

Un altro problema minore inoltre, è che né Rathbone né la sua fidanzata hanno fatto menzione del fatto che la sua ferita davvero grave fosse mai stata curata. Ha affermato che la ferita era così grave che è svenuto per la perdita di sangue, ma che poi è stato semplicemente accompagnato e lasciato a casa. Secondo la versione ufficiale, c’erano almeno tre abili chirurghi a portata di mano, nessuno dei quali poteva davvero fare molto per Lincoln ferito a morte. Perché allora nessuno si è preso la briga di curare una ferita così grave inferta ad un ospite del Presidente? Da quello che posso sapere, quelle arterie recise possono essere davvero letali se lasciate aperte.

Quello che sembra esserci qui è una situazione in cui: (a) i resoconti dei testimoni non concedono il fatto che ci fosse abbastanza tempo perché Rathbone venisse gravemente ferito; (b) Rathbone non ha mai ricevuto cure per una ferita grave; (c) il coltello che avrebbe inflitto la ferita era esangue pochi secondi dopo, così come il tizio che lo brandiva; e (d) nessuno dei sedicenti testimoni nel teatro quella notte ha visto Rathbone alle prese con il suo presunto aggressore.

Passando ad altre peculiarità nel racconto di Rathbone, una domanda ovvia che viene sollevata è: perché John Wilkes Booth, o chiunque altro sia entrato nel palchetto allo scopo di uccidere Lincoln nel modo in cui è avvenuto, si prenderebbe il tempo per serrare l’esterno di una porta chiusa? Nessun inseguitore sarebbe arrivato da quella direzione. E se il presunto piano fosse andato storto, l’aggressore avrebbe avuto la possibilità di fuggire in quella direzione. Allora perché estromettere una possibile via di fuga? E in che maniera una tavola di legno robusta della lunghezza precisa necessaria è stata trasportata a mano? Sono domande alle quali gli storici non hanno mai dato risposte soddisfacenti.

Secondo il racconto di Rathbone, la porta interna del palchetto è rimasta aperta tutta la notte. Allora come avrebbe fatto il partito a non sentire un intruso entrare nella porta esterna e poi chiuderla e serrarla incastrandola con forza… prima di sgattaiolare dietro al Presidente? Non sembra possibile che l’abbia fatto un intruso non invitato. E non c’era motivo di farlo. Booth, si ricorderà, era ridicolmente armato con una derringer a colpo singolo. Il piano, quindi, era fortemente dipendente dall’elemento sorpresa. Perché allora rischiare di essere scoperti chiudendo inutilmente la porta?

Chi allora ha davvero bloccato quella porta e perché? Ha giovato al presunto aggressore, o ha fornito una finestra di opportunità per mettere in scena il piano prima che i soccorritori potessero arrivare al presidente?

Vengono sollevate molte altre domande attraverso il racconto di Rathbone, incluso il motivo per cui il presidente fosse seduto più lontano dal palcoscenico e più vicino alla porta? L’ospite d’onore non otterrebbe di solito il miglior posto in casa? Perché quel giorno i mobili del palchetto erano stati sistemati in modo da posizionarlo il più lontano possibile dal palcoscenico? Ed essendo lui il quarto membro del gruppo, perché Rathbone non si è seduto sulla quarta sedia verso la parte anteriore del palco? Perché ha scelto invece di sedersi da solo su un divano appena dietro agli altri?

Oltre alle questioni scaturite dal resoconto di Rathbone, ci sono altre questioni riguardanti la storia ufficiale di ciò che accadde al Ford’s Theatre il 14 aprile 1865. Secondo i resoconti dei testimoni, l’uomo che stava fuggendo attraverso il palcoscenico brandiva il coltello nella mano destra, indicando con ciò che fosse destrorso. Ma il proiettile che ha ucciso Lincoln, presumibilmente sparato da un aggressore in piedi dietro di lui, è entrato dietro l’orecchio sinistro e ha viaggiato diagonalmente attraverso la cavità cerebrale, finendo dietro l’occhio destro. Sarebbe un tiro piuttosto difficile da realizzare per un destrorso. Nella misura in cui gli storici hanno affrontato questa anomalia, si sostiene generalmente che Lincoln abbia girato la testa proprio mentre veniva sparato il colpo. Ma questa è pura speculazione volta a portare i fatti noti del caso in linea con la storia ufficiale.

Secondo tutti i primi resoconti dei testimoni, gli eventi si sono svolti molto rapidamente e il sospettato stava attraversando il palco e uscendo dall’edificio prima che qualcuno si rendesse conto di cosa fosse successo. Fu solo allora, quando era troppo tardi per catturare il sospettato, che si udirono le grida angosciate di Mary Lincoln provenienti dal palchetto, insieme alle futili esortazioni di Rathbone a fermare il sospettato in fuga. Ma perché ci è voluto così tanto tempo prima che Mary Todd e gli altri urlassero?

Mary Lincoln aveva lasciato che suo marito fosse sparato a morte mentre era seduto proprio accanto a lei, mano nella mano. Aveva poi assistito a una violenta lotta tra l’assassino di suo marito e il maggiore Rathbone, durante la quale Rathbone era stato gravemente ferito, bagnando il palchetto di sangue. Se Rathbone fosse morto per la sua presunta ferita, Mary e Clara sarebbero rimaste sole in quel palchetto con un pazzo armato di coltello. È giusto pensare quindi che avrebbero urlato al sanguinoso omicidio durante tutto il calvario, e molto probabilmente avrebbero cercato di uscire da quel palchetto. L’aiuto, dopo tutto, era a pochi passi.

Ma invece le due signore sono rimaste stoiche, e sedute, per tutta la performance. Solo nel momento in cui l’aggressore è balzato dal palchetto al palcoscenico, si è rimesso in piedi, ha attraversato di corsa il palcoscenico e poi è uscito dall’edificio, Mary ha risposto verbalmente all’agguato. E Clara Harris non lo fece mai.

Perché tutti ebbero curiosamente reazioni ritardate all’interno del palchetto presidenziale? E perché, come precedentemente chiesto in questa serie, l’aggressore avrebbe scelto un’arma così fondamentalmente assurda come una derringer a colpo singolo per questa missione? E chi avrebbe pianificato una via di fuga che includesse un salto estremamente rischioso su un pavimento molto duro del palcoscenico sottostante, e in special modo indossando stivali da equitazione con speroni? Era davvero una via di fuga pianificata o improvvisata?

Queste sono le domande che gli storici evitano di porsi da 150 anni a questa parte.

Una cosa che non possiamo concludere definitivamente dai primi resoconti dei testimoni, contrariamente all’opinione popolare, è che il ragazzo che è uscito frettolosamente dal Ford’s Theatre quella sera fosse John Wilkes Booth. Nei resoconti dei testimoni registrati anni dopo che la storia ufficiale avesse gettato una lunga ombra sugli eventi di quel giorno, il nome di Booth compare abbastanza spesso. Ma non è così facile da trovare nei primi resoconti.

Uno dei tizi più vicini alla scena è stato il capitano dell’esercito Theodore McGowan, che era seduto al Ford’s Theatre non lontano dall’ingresso del palchetto del presidente. Mi piace pensare che questo tizio fosse un tipo onesto, principalmente perché aveva un nome molto onorevole. Quando fu chiamato a testimoniare al tribunale militare, McGowan disse: “Ero presente al Ford’s Theatre la notte dell’assassinio. Ero seduto nel corridoio che porta dal muro verso la porta del palchetto del presidente, quando è arrivato un uomo e mi ha disturbato al mio posto, costringendomi a spingere la sedia in avanti per permettergli di passare; si fermò a circa un metro da dove ero seduto e con calma fece un’ispezione della zona. L’ho guardato perché era nel mio campo visivo… Conosco J. Wilkes Booth, ma, non vedendo completamente il volto dell’assassino, al momento non lo riconobbi come Booth”.

Dunque adesso abbiamo un tizio che conosceva Booth, eppure da appena un metro di distanza, con il tizio direttamente nel suo campo visivo, non ha riconosciuto che l’uomo nel teatro fosse Booth. È abbastanza facile scommettere che il governo abbia esercitato una notevole pressione sul capitano McGowan nell’identificare con certezza Booth, eppure si è dimostrato incapace o non disposto a farlo. Curioso anche che McGowan si sia riferito a lui al presente quando Booth avrebbe dovuto essere morto.

Allora cosa dobbiamo pensare con tutto questo? Rathbone è stato davvero gravemente ferito? O la sua ferita era sostanzialmente meno grave, autoinflitta mentre i soccorritori venivano tenuti a bada per mezzo della porta barricata? Fu davvero John Wilkes Booth ad entrare nel palchetto presidenziale quella sera? E chiunque fosse, entrò per assassinare il presidente? Una minuscola derringer sarebbe stata l’arma preferita da un assassino, o piuttosto era un’arma che sarebbe stato facile portare con sé da qualcun altro presente in quel palchetto?

Una cosa la sappiamo: le azioni di Henry Rathbone negli anni dopo l’assassinio hanno chiaramente dimostrato che fosse pienamente capace di due cose: omicidio e ferite da coltello autoinflitte.

Continua…

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