MENANDO IL CAGNOLINO LUNATICO PER L’AIA (PARTE IV)

Fonte: Center For An Informed America

Di Dave McGowan
1 ottobre 2009

“Una volta sulla Luna, sulla superficie lunare all’interno della tuta, nel sistema di supporto vitale, non potevano vedere la fotocamera. Non potevano piegare la testa abbastanza in basso da vedere la scala… Non avevano un mirino: dovevano mirare muovendo il corpo”.

Jan Lundberg, capo progettista delle fotocamere Hasselblad presumibilmente utilizzate dagli astronauti dell’Apollo

“Hanno dovuto concretamente indovinare dove stessero puntando la fotocamera.”

HJP Arnold, il dirigente della Kodak che ha fornito la pellicola Ektachrome per le missioni

Gli aspetti su cui la maggior parte delle bufale lunari e dei siti di “debunking” trascorrono la maggior parte del tempo, in assoluto, sono le anomalie fotografiche. E questo, suppongo, sia prevedibile, dal momento che con le videocassette originali, i nastri telemetrici e i progetti tutti convenientemente scomparsi, e con la maggior parte delle rocce lunari andata dispersa e la loro legittimità non verificabile, non ci sia molto altro in termini di prove fisiche da esaminare.

Gli scettici hanno identificato una serie di problemi con le fotografie ufficiali della NASA dei presunti sbarchi sulla Luna, tra cui: bandiere che sembrano sventolare nonostante la mancanza di atmosfera; ombre non parallele, che suggeriscono molteplici fonti di luce; oggetti in ombra che sono chiaramente visibili quando non dovrebbero esserlo, indice di presenza di molteplici fonti di luce; la completa mancanza di stelle nel cielo lunare; sfondi identici nelle foto che la NASA ha affermato siano stati girati in luoghi diversi; e incongruenze con i segni di riferimento del reticolo.

Esamineremo ciascuno di questi in dettaglio – beh, in realtà esamineremo la maggior parte di essi in dettaglio. Perché a quanto pare – e so che ciò sarà un’enorme delusione per tutti i ‘debunkers’ – non me ne frega un cazzo se la bandiera sventoli o no. Molti dei siti web di ‘debunking’ dedicano una quantità eccessiva di tempo alla questione, come se fosse l’asse principale su cui poggiassero le ‘teorie del complotto’. Lo fanno perché i video e le foto sono ambigui e aprono all’interpretazione, e i “debunker” si rendono conto che la gente vedrà in essi ciò che vuole vedere.

La verità però è che non importa se la bandiera sventoli. Questa è solo una piccola goccia di potenziale prova in un secchio traboccante.

Alcuni tra gli altri problemi con le immagini sono decisamente meno ambigui. Ma prima ancora di arrivare a quelli, dobbiamo prima discutere il fatto che l’esistenza stessa delle fotografie sia un’impossibilità tecnica. In parole povere, non sarebbe stato possibile catturare nessuna delle immagini presumibilmente scattate sulla Luna nel modo in cui la NASA sostiene siano state catturate.

In passato, vedete (e i lettori più giovani potrebbero voler nuovamente coprirsi gli occhi), le fotocamere non erano così intelligenti, quindi tutto doveva essere fatto manualmente. Il fotografo doveva mettere a fuoco manualmente ogni scatto sbirciando attraverso il mirino e ruotando l’obiettivo fino a che la scena non fosse messa a fuoco. Anche l’apertura e la velocità dell’otturatore corrette dovevano essere selezionate manualmente per ogni scatto, per garantire un’esposizione corretta. Ciò richiedeva anche di sbirciare attraverso il mirino, per regolare lo scatto. Infine, ogni scatto doveva essere adeguatamente inquadrato e composto, il che ovviamente richiedeva anche che si guardasse attraverso il mirino.

Il problema per gli astronauti è stato che le fotocamere erano montate sul petto, il che rendeva impossibile guardare attraverso il mirino per regolare, inquadrare e mettere a fuoco gli scatti. Tutto, perciò, era praticamente un tirare a indovinare. La messa a fuoco avrebbe dovuto essere del tutto una congettura, così come l’inquadratura di ogni scatto. Un fotografo esperto può stimare con precisione le impostazioni di esposizione, ma agli astronauti mancava tale esperienza ed erano anche svantaggiati dal fatto che stessero guardando le scene attraverso visori molto colorati, il che significava che ciò che stavano osservando non fosse quello che visualizzava la fotocamera.

Ad aumentare i loro problemi, indossavano caschi spaziali che limitavano seriamente il loro campo visivo, insieme a guanti pressurizzati enormemente ingombranti che limitavano pesantemente la loro destrezza manuale. Le probabilità quindi di ottenere anche uno solo dei tre elementi (esposizione, messa a fuoco e inquadratura) corretto in quelle condizioni su un solo scatto sarebbero state estremamente basse. Eppure, sorprendentemente, nella stragrande maggioranza delle foto, li hanno azzeccati tutti e tre!

Un signore piuttosto presuntuoso di nome Jay Windley, uno dei più importanti “debunker” approvati dalla NASA, tenta di far girare tutto intorno a questo sul suo sito web, www.clavius.org. Secondo Windley, “Le esposizioni sono state elaborate in anticipo sulla base della sperimentazione. La valutazione ASA/ISO della pellicola era nota e i fotografi della NASA hanno precalcolato le esposizioni necessarie… In molti casi le impostazioni della fotocamera per le foto prestabilite erano fornite sulle liste di controllo dei polsini degli astronauti.

Porca miseria, Jay? Hanno mandato una squadra avanzata sulla Luna per fare quella “sperimentazione”? Perché, come ben sai, le condizioni di illuminazione sulla Luna sono piuttosto uniche, e nessuno era mai stato lì prima, quindi non vedo davvero come i fotografi della NASA siano stati in grado di elaborare le esposizioni “in anticipo”. E a quali “foto prestabilite” ti riferisci? Come facevano a sapere cosa avrebbero fotografato prima ancora di sapere cosa ci fosse? Sapevano che avrebbero scattato foto l’uno dell’altro, suppongo, e della bandiera e del lander, ma non avrebbero avuto idea di come sarebbero state illuminate quelle cose, ed è l’illuminazione, non il soggetto, che determina principalmente le impostazioni di esposizione.

Windley ovviamente lo sa, dal momento che afferma sul suo sito di essere “un fotografo esperto [che] ha lavorato professionalmente in quella zona di tanto in tanto”. Deve anche sapere che i suoi commenti sulla non importanza di mettere a fuoco correttamente un’inquadratura sono intenzionalmente fuorvianti. Comincia sulla strada giusta, più o meno, avvisando i lettori che una maggiore profondità di campo “sta a significare che quando l’obiettivo è impostato per mettere a fuoco ad una certa distanza, anche gli oggetti leggermente più vicini e più lontani da questa distanza ideale vengono messi a fuoco nitidamente. Più stretta è l’apertura, maggiore è la profondità di campo.”

È certamente vero che minore è l’apertura, maggiore sarà la profondità di campo. E maggiore è la profondità di campo, più lo sfondo e il primo piano saranno a fuoco, supponendo che il soggetto sia messo a fuoco correttamente. Windley, come il resto dei “debunker”, vorrebbe farci credere che tutte le foto scattate sulla superficie lunare siano state scattate con un’impostazione di apertura molto piccola (che presumibilmente spiega la mancanza di stelle nel cielo lunare, ma ci arriveremo presto), che massimizzerebbe la profondità di campo. E maggiore è la profondità di campo, secondo Windley, “più il fotografo può essere maldestro con le impostazioni di messa a fuoco”.

Quest’ultima affermazione, per quelli che potrebbero averla persa, è in realtà la parte non vera. Una maggiore profondità di campo sicuramente non significa che si può utilizzare la tecnica “vicino abbastanza” per mettere a fuoco la fotocamera. La profondità di campo non ha nulla a che fare con la messa a fuoco o meno del soggetto. Se il soggetto è a fuoco nitido, la profondità di campo determina anche quanti degli altri oggetti sullo sfondo della foto e in primo piano saranno a fuoco. Se il tuo soggetto non è a fuoco nitido, tuttavia, la tua foto farà schifo indipendentemente dalla quantità della profondità di campo.

Per quanto riguarda l’inquadratura degli scatti, Windley afferma che siano stati utilizzati principalmente obiettivi grandangolari, il che significa che “Era sufficiente puntare la fotocamera nella direzione generale del soggetto e probabilmente avresti avuto un inquadratura abbastanza buona”. Quindi, a quanto pare, tutto il trambusto per inquadratura, esposizione e messa a fuoco è tanto rumore per nulla. Tutto quello che si deve fare è scrivere le impostazioni di esposizione sulla manica, regolare la messa a fuoco e puntare la fotocamera nella “direzione generale del soggetto” e si otterranno scatti fantastici quasi tutte le volte!

Windley aggiunge poi (e questa è la parte che preferisco del suo tutorial fotografico) che nelle missioni successive “è stato preso anche un teleobiettivo da 500 mm e le fotocamere sono state modificate con obiettivi per facilitarli nella mira. Normalmente la fotocamera sarebbe stata montata sulla staffa toracica della tuta spaziale, ma per l’uso del teleobiettivo l’astronauta avrebbe dovuto rimuoverla e tenerla all’altezza degli occhi per poter guardare attraverso gli obiettivi.

Come ogni fotografo sa, effettuare uno scatto decente con un obiettivo da 500 mm senza l’uso di un treppiede è un compito piuttosto arduo, anche per un professionista esperto. Effettuare uno scatto decente a mano con un obiettivo da 500 mm indossando guanti ingombranti e pressurizzati sarebbe quasi impossibile. E l’idea di riuscire ad avvicinarti a un’inquadratura o mettere a fuoco correttamente un’immagine con un obiettivo da 500 mm senza guardare attraverso il mirino è ridicolmente assurda.

I “debunker” ti diranno anche che non è vero che tutte le immagini dell’allunaggio fossero state selezionate e che la NASA abbia pubblicato solo le migliori foto. I “debunker”, tuttavia, non sanno di cosa stanno parlando. La realtà è che la NASA ha rilasciato tutte le presunte foto scattate durante le missioni Apollo, comprese quelle indecifrabili etichettate come “scatto involontario” (che, devo ammettere, è stato un tocco di classe). Ad eccezione di quelli che molto probabilmente sono errori intenzionali, la netta maggioranza degli scatti è piuttosto ben realizzata, esposta e a fuoco.

Per quelli che non lo trovano affatto insolito, ecco un esperimento che si può provare a casa: prendete la prima fotocamera SLR da 35 mm che avete a disposizione e fissatela al collo. Probabilmente sarà una fotocamera automatica, quindi dovrete impostarla per la messa a fuoco manuale e l’esposizione manuale. Adesso dovrete indossare il paio di guanti invernali più spessi che potete trovare, compreso un casco da motociclista con visiera. Una volta fatto tutto questo, ecco il vostro compito: andate in giro per il quartiere con la fotocamera tenuta saldamente sul petto e scattate un bel po’ di foto. Dovrete armeggiare con le impostazioni di messa a fuoco ed esposizione, ovviamente, il che sarà una vera rogna poiché non sarete in grado di vedere o sentire quello che state facendo. Inoltre, manco a dirlo, dovrete solo indovinare l’inquadratura di tutti gli scatti.

Probabilmente dovreste usare una fotocamera digitale, tra l’altro, in modo da non sprecare troppa pellicola, perché non avrete molte prove a disposizione. Ovviamente, parte del divertimento di questa sfida è cambiare la pellicola con i guanti e il casco indosso, e vi perderete questo divertimento passando al digitale. Ad ogni modo, dopo aver riempito la scheda di memoria, tornate a casa e scaricate tutte le immagini appena acquisite. Mentre consultate la vostra collezione di foto insignificanti, lasciatevi stupire dall’incredibile bellezza dei nostri astronauti Apollo, che non solo hanno rischiato la vita e gli arti per espandere le frontiere dell’uomo, ma che sono stati anche fotografi di incredibile talento. Sono più che un po’ sorpreso che nessuno di loro abbia intrapreso carriere remunerative da fotografi professionisti.

Anche se i nostri bravi astronauti avessero potuto catturare tutte quelle immagini, la pellicola non sarebbe mai sopravvissuta al viaggio in condizioni così immacolate. Anche un’esposizione molto breve ai livelli relativamente bassi di radiazioni utilizzati nei terminal di sicurezza degli aeroporti può danneggiare la pellicola fotografica, quindi in che condizioni sarebbe arrivata la pellicola dopo un’esposizione prolungata e continua a livelli di radiazioni molto più elevati? E che dire delle fluttuazioni di temperatura di 540° F? Dev’essere stata una pellicola sorprendentemente resistente e un altro esempio della tecnologia perduta degli anni ’60.

Anche se le immagini chiaramente non sono ciò che la NASA afferma che siano, staremo al gioco e fingeremo che Neil e Buzz e tutto il resto dell’equipaggio possano averle effettivamente scattate. La domanda allora è: dove le hanno trasportate?

I teorici delle bufale, i “debunker” e la NASA sono tutti d’accordo su almeno una cosa: le condizioni sulla superficie della Luna sono decisamente diverse da quelle che ci sono qui sulla superficie del pianeta Terra. Per prima cosa, la Luna non ha atmosfera. Inoltre, c’è solo una fonte di luce, che è, ovviamente, il sole (la NASA ha verificato che nessun’altra fonte di luce fosse disponibile per gli astronauti).

A causa della mancanza di atmosfera sulla Luna, la luce non viene dispersa e viaggia solo in linea retta dal sole e viene riflessa nella stessa direzione. Ciò significa che tutto ciò che cade nell’ombra sarà praticamente nell’oscurità completa. Significa anche che tutte le ombre verranno proiettate nella stessa direzione. E significa che il cielo è sempre nero e, senza che l’atmosfera faccia da filtro alla vista, quel cielo sarà riempito in ogni momento con uno spettacolo abbagliante di stelle diverso da qualsiasi cosa mai vista dall’uomo.

Come hanno fatto notare altri scettici, nessuna delle foto presumibilmente riportate a casa dalla Luna mostra una sola stella nel cielo. I “debunker” hanno affermato che ciò è dovuto al fatto che le impostazioni di esposizione delle fotocamere non consentivano di catturare le stelle su pellicola. Per esporre correttamente gli oggetti fotografati, affermano i “debunker”, i tempi di posa dovevano essere troppo veloci e le aperture troppo piccole per catturare le stelle. E questo vale, secondo i ‘debunker’, per ogni singola foto scattata sulla Luna. Anche per tutte quelle che, secondo quegli stessi ‘debunkers’, sono state esposte impropriamente!

Il sito web della NASA ha affermato coraggiosamente che “Gli astronauti che attraversavano il luminoso suolo lunare nelle loro tute spaziali illuminate dal sole erano letteralmente luminescenti. Impostare una telecamera con l’esposizione corretta per una tuta spaziale luminescente renderebbe naturalmente le stelle sullo sfondo troppo fievoli per essere viste”.

Il problema di questa affermazione, che dovrebbe essere ovvio per qualsiasi fotografo, è che sarebbe stata necessaria una varietà di impostazioni di esposizione diverse per scattare tutte le foto che si presume siano state scattate sulla Luna (Windley lo ha riconosciuto quando ha affermato che la NASA “ha precalcolato l’esposizione necessaria”). Tutte le scene sottostanti, ad esempio, che ovviamente non sono molto ben illuminate, avrebbero richiesto lunghe esposizioni, esposizioni che avrebbero sicuramente catturato le stelle brillanti, dal momento che sarebbero stati gli oggetti più luminosi nel campo visivo della fotocamera.

Una cosa che amo dei siti web di “debunking”, tra l’altro, è la frequenza con cui si contraddicono mentre si fanno strada attraverso le loro liste di controllo di “debunking”. Il sempre pomposo Phil Plait, proprietario del  sito web BadAstronomy.com dal nome appropriato, è un ottimo esempio. Piuttosto presto con il suo sproloquio di ‘debunking’, scrive quanto segue: “Lo dirò qui adesso, e lo ribadirò ancora e ancora: la Luna non è la Terra. Le condizioni sono anormali e il nostro buon senso rischia di tradirci”.

In effetti, Plait lo ribadisce spesso, ogni volta che avanza le sue argomentazioni per farlo, ma altrettanto frequentemente mette da parte la sua regola cardinale quando invece è ciò che serve al suo scopo – come, ad esempio, solo quattro paragrafi dopo, consiglia ai lettori di “uscire qui sulla Terra nella notte più buia immaginabile e scattare una foto con le stesse identiche impostazioni della fotocamera utilizzate dagli astronauti, non vedrete nessuna stella! È così semplice.”

Sempre modestamente, Phil non ci dice quali sono quelle “impostazioni della fotocamera”, ma implica chiaramente che le stesse impostazioni siano state utilizzate in ogni foto, il che chiaramente non è il caso. Phil dimentica anche convenientemente che la visuale dalla Luna non è filtrata per mezzo di un’atmosfera, quindi le stelle hanno la luminosità di molte volte aumentata rispetto a quella qui sulla Terra. Il piccolo esperimento di Phil, quindi, non è per nulla valido, poiché ha dimenticato di tener conto che le condizioni sulla Luna “sono anormali”. E come hanno fatto tutti i “debunker”, ha anche dimenticato di spiegare perché nessuno abbia pensato di esporre una o due foto in modo da catturare specificamente lo spettacolo delle stelle.

La leggenda narra che una dozzina di astronauti abbia camminato sulla superficie della Luna per periodi di tempo variabili. Gli astronauti dell’Apollo 17 da soli sarebbero stati lì per tre giorni. Per tutta la durata delle loro visite, ciascuno dei dodici sarebbe stato irradiato da quello che è stato di gran lunga lo spettacolo di stelle più abbagliante mai visto dall’occhio umano. Quelle che avrebbero visto sono state di gran lunga le stelle brillanti assai più brillanti e luminose rispetto a quelle che si possono osservare in qualsiasi punto sul pianeta Terra.

Complessivamente, la sporca dozzina ha scattato migliaia di foto durante i suoi presunti viaggi. Eppure, sorprendentemente, nessuno di loro pensava che potesse essere una buona idea scattare anche una sola fotografia di uno spettacolo così meraviglioso. Naturalmente, sebbene le infinite foto dei moduli lunari e della monotona superficie lunare siano emozionanti, anche solo una o due foto di quell’abbagliante cielo lunare lo sarebbero state. È come se qualcuno fosse andato alle cascate del Niagara e le uniche foto che abbiano scattato fossero della macchina che hanno guidato in un parcheggio anonimo.

Adesso rivolgiamo la nostra attenzione al tema delle ombre. Come hanno fatto notare gli scettici, alcune delle foto della NASA sembrano rappresentare ombre non parallele, indice di che ci fosse più di una fonte di luce. I “debunker” hanno affermato che tutte queste discrepanze possono essere spiegate da variazioni di “prospettiva” e topografiche sulla superficie della Luna. E a dire il vero, molte delle immagini che ho visto sui siti web da entrambi i punti di vista sono abbastanza ambigue da poter sostenere plausibilmente tali spiegazioni. Ma ci sono, a quanto pare, immagini nella collezione della NASA che non sono così facili da sfatare.

Esistono, infatti, immagini che dimostrano inequivocabilmente che è stata utilizzata più di una sorgente luminosa. Prendiamo, ad esempio, l’immagine qui sotto di uno dei pod di atterraggio del modulo lunare Apollo 11, che si presume sia parcheggiato sulla superficie della Luna.

La fonte di luce primaria, destinata a simulare il sole, è ovviamente posizionata a destra della scena, come è chiaramente dimostrato dalle ombre di tutti gli oggetti sullo sfondo. Ma c’è inoltre come ovvio una fonte di luce secondaria proveniente dalla direzione del fotografo. Lo sappiamo perché possiamo vedere in primo piano che le ombre che escono dalle piccole “rocce lunari” si dirigono lontano da noi. Lo sappiamo anche perché possiamo notare la luce riflessa dalla lamina d’oro che avvolge il terreno davanti al pod. Ma lo sappiamo soprattutto perché  possiamo effettivamente notare la luce riflessa nell’involucro di alluminio sulla gamba del pod!

Le ombre in primo piano e sullo sfondo sono quasi ad angolo retto, un fenomeno che non può essere spiegato anche sforzandosi come un problema percettivo, specialmente quando possiamo vedere chiaramente il riflesso della luce secondaria! Un’altra domanda riguardo a questa foto in particolare: come si può catturare un’inquadratura così bassa con una fotocamera montata sul petto? L’astronauta/fotografo era in piedi in una trincea?

L’altro problema relativo alle ombre riguarda il fatto che, nella maggior parte delle foto presumibilmente scattate sulla Luna, gli oggetti posti in ombra sono chiaramente visibili anche se, a causa della mancanza di atmosfera della Luna e del fatto che la luce solare quindi non si disperde, quelle aree in ombra sarebbero dovute essere completamente nere. La Luna, vedete, è una specie di mondo in bianco e nero. Se qualcosa fosse nel percorso diretto della luce solare non filtrata, dovrebbe essere ben illuminato (su un lato); se non lo fosse, dovrebbe essere nero come il cielo lunare senza stelle della NASA.

I “debunker”, ovviamente, hanno una spiegazione per questo. Torniamo ancora una volta a BadAstronomy.com per questa spiegazione, dal momento che sembra essere il sito web a cui tutti gli altri siti di “debunking” fanno costantemente riferimento e si collegano, quello che tutti i principali media approvano e quello a cui anche la NASA apparentemente fa riferimento per quanto riguarda gli scettici. Secondo il sito, “La polvere lunare ha una proprietà particolare: tende a riflettere la luce nella direzione da cui è arrivata”. Plait quindi prosegue fornendo la seguente spiegazione del fenomeno delle ombre luminose: “Diciamo che il sole è a destra in un’immagine. Sta illuminando il lato destro del lander e il sinistro è in ombra. Tuttavia, la luce del sole che cade oltre il lander a sinistra viene riflessa verso il sole. Quella luce colpisce la superficie e si riflette a destra e in alto, direttamente sulla parte in ombra del lander”.

Nell’esempio citato in precedenza, Plait è riuscito a superare quattro interi paragrafi prima di contraddirsi. Qui ha facilmente infranto quel record contraddicendosi, incredibilmente, in frasi consecutive! E questo, tenetelo a mente, sembra essere il miglior “debunker” che la NASA abbia da offrire (non è chiaro se Plait sia uno sceriffo pagato o semplicemente un idiota al loro servizio; in altre parole, non è chiaro se creda davvero alle cose che scrive o se sta mentendo consapevolmente, ma quest’ultima sembra molto più probabile).

Plait ha ragione quando dice che la luce che cade oltre l’LM a sinistra verrebbe riflessa “indietro verso il sole”. Purtroppo poi si contraddice subito affermando che quella stessa luce si rifletterebbe “a destra” sul modulo. L’unico modo in cui ciò potrebbe accadere, come sicuramente Plait sa, è che la luce si irradi attraverso il lander e si rifletta sulla parte in ombra del terreno. Ma questo non ha senso, ovviamente, così come non ha senso la spiegazione di Phil.

La luce non si disperde sulla Luna, come tiene a precisare lo stesso Plait da qualche parte sul suo sito web. E la superficie della Luna (o almeno quella che passa per la superficie della Luna nelle foto della NASA) non è una superficie molto riflettente, come si può chiaramente notare dalle fotografie. In realtà, sarebbe più esatto dire che la Luna sia una superficie riflettente in maniera molto selettiva, con la luce che sceglie di riflettere solo sugli astronauti, sulle bandiere e altri simboli patriottici.

Non a caso, Plait invita ancora una volta i lettori a riprodurre l’effetto proprio qui a casa, ignorando completamente il fatto che, come lui stesso ha riconosciuto, la luce si comporti in modo completamente diverso qui sulla Terra rispetto a quanto avvenga sulla Luna. Plait afferma inoltre che “Un’elegante dimostrazione del riempimento dell’ombra è stata fatta da Ian Goddard e può essere trovata qui. Le sue dimostrazioni sono fantastiche e chiariscono realmente il punto”. In verità, le “belle dimostrazioni” di Goddard dipendono interamente dagli effetti dell’atmosfera che causano la dispersione della luce, e per questo non hanno alcuna validità.

A proposito, ho dimenticato di menzionare nella discussione precedente che Plait ha anche invitato i lettori a condurre un esperimento legato alla Terra per “sfatare” l’enigma delle ombre divergenti. Secondo Phil, “Potete sperimentarlo da soli; uscite in una giornata limpida quando il sole è basso nel cielo e confrontate la direzione delle ombre degli oggetti vicini e lontani. Noterete che sembrino divergere. Ecco un’importante affermazione degli HB per cui possiate smentire tutto da soli!”

Ecco un altro esperimento che Plait potrebbe voler provare lui stesso: esci durante il giorno in qualsiasi giorno a tua scelta e guarda il cielo. Se è assolutamente nero intenso, sentiti libero di continuare a consigliare ai tuoi lettori di condurre simulazioni lunari qui a casa. Se è blu, tuttavia (o grigio, o bianco, o praticamente di qualsiasi colore diverso dal nero), allora smetti di fingere che le condizioni sulla Luna possano essere replicate qui sulla Terra dal momento che tutti lo sappiamo meglio di te (o tutti dovremmo).

E quando hai finito con quell’esperimento? Prova l’esperimento della fotocamera al petto e fai sapere a tutti come funziona secondo te. E prova a fare alcune di quelle inquadrature dal basso che piacciono alla NASA.

La verità è che anche se una quantità limitata di luce si riflettesse sulle ombre, ci sono ancora troppi dettagli visibili nelle ombre praticamente in tutte le foto della NASA, per far sì che le argomentazioni che la NASA e Plait hanno avanzato in precedenza risultino vere. Come ricorderanno i lettori, in precedenza è stato affermato che la superficie lunare e le tute spaziali degli astronauti fossero così luminescenti alla luce del sole non filtrata che sarebbero state necessarie velocità dell’otturatore molto elevate e aperture molto piccole per evitare la sovraesposizione degli scatti.

Il problema per la NASA e i suoi cani rabbiosi è che non è possibile avere entrambe le cose. Se la fotocamera viene chiusa per evitare di sovraesporre luci estremamente luminose, non può catturare contemporaneamente tutti i dettagli nelle ombre. E se l’apertura e la velocità dell’otturatore sono impostate per catturare i dettagli nelle ombre, la fotocamera catturerebbe necessariamente anche le stelle luminose, che risulterebbero molto più luminose di qualsiasi cosa si trovi sulle ombre lunari. Persino altri pianeti sarebbero piuttosto difficile che scompaiano nel cielo lunare, tant’è vero che nessun pianeta è visibile in ognuna delle foto della NASA.

Vi ricordate, a proposito, cosa ci ha detto Windley prima sulla relazione tra l’impostazione dell’apertura e la profondità di campo? La regola di base è che minore è l’impostazione dell’apertura, maggiore sarà la profondità di campo. Con un’apertura ampia, al contrario, la foto avrà poca profondità di campo. Ecco perché i fotografi ritrattisti tendono a scattare con l’obiettivo completamente aperto, per isolare deliberatamente il soggetto dagli elementi in primo piano e sullo sfondo. I fotografi di paesaggi, d’altra parte, chiudono l’obiettivo per mantenere l’intera scena a fuoco.

Avendo un po’ di conoscenza fotografica di base, è abbastanza facile determinare se le fotografie della NASA siano state, in effetti, scattate con un’impostazione di apertura molto piccola. E un buon punto di partenza, suppongo, sia con la primissima foto presumibilmente scattata da un uomo in piedi sul suolo lunare. Di seguito è riportato quello che si presume sia il primo tentativo di Armstrong di fotografare la luna, appena dopo essere sceso dal modulo.

Prima di tutto, penso che possiamo essere tutti d’accordo che, date le circostanze, sia un primo tentativo dannatamente buono. Ci sono problemi fin dall’inizio, ovviamente, con il fatto che le ombre sono ovviamente illuminate con una fonte di luce secondaria diffusa, altrimenti non saremmo in grado di vedere la parte superiore della borsa, o il segno degli Stati Uniti, o il lato in ombra del puntone di atterraggio, ma quello che stiamo veramente cercando qui è la profondità di campo, di cui questa foto è poco provvista. Il fotografo si è concentrato sul simbolo degli Stati Uniti (e lo ha fatto alla cieca!), ma poco altro è a fuoco. Quindi sappiamo, fin dal primo scatto, che i “debunker” mentono sulle impostazioni dell’esposizione.

Passando alla seconda presunta foto di Armstrong, visibile sotto, troviamo ancora una volta che ci sia pochissima profondità di campo. Sia il primo piano che lo sfondo sono piuttosto sfocati, il che indica chiaramente che non fosse stato scattato con un’impostazione di apertura ridotta. E nonostante questo non c’è nemmeno una stella da vedere.

Prima di andare avanti, c’è un’altra foto di Armstrong che mi sento obbligato a presentare qui. Dopotutto, è il suo capolavoro, oltre ad essere probabilmente la più iconica tra tutte le foto dell’Apollo. Sto parlando, ovviamente, della cosiddetta inquadratura “Man on the Moon” con soggetto Buzz Aldrin, visibile di seguito (che probabilmente non è in realtà Aldrin; la mia ipotesi è che gli stessi due attori abbiano fatto tutti le passeggiate lunari dei video e foto delle presunte missioni).

Dobbiamo prima, ovviamente, complimentarci con Neil per la fantastica realizzazione. Non sembra affatto una messa in scena. Ma qui ci sono dei problemi. Ancora una volta, non vedo la profondità di campo promessaci da Windley. È anche piuttosto difficile non notare che la tuta spaziale di Buzz non fosse pressurizzata. Inoltre, la superficie della “Luna” è illuminata in modo piuttosto irregolare, il che indica che la fonte di luce utilizzata fosse molto più vicina del sole. E poi c’è la notevole mancanza di ombra sulla tuta spaziale di Buzz. Proietta un’ombra sul terreno, ma non c’è un’ombra corrispondente sul suo corpo. Anche qui sulla Terra, questo è possibile solo avendo una fonte di luce secondaria.

Ci sono alcune foto nella collezione della NASA che sono state scattate senza una fonte di luce secondaria, quindi sappiamo come apparirebbero le immagini false dell’atterraggio sulla Luna. L’azione ripresa sotto il rover lunare, ad esempio, è stata scattata senza una luce secondaria che riempisse le ombre. Le ombre non sono ancora così scure come sarebbero sulla Luna, ma la differenza tra una foto finta della Luna scattata con una luce di riempimento e una foto finta della Luna scattata senza una luce di riempimento non potrebbe essere più ovvia.

Alla NASA è piaciuta così tanto l’immagine di “Man on the Moon”, che essenzialmente l’hanno rimontata per la missione Apollo 12. Come si può vedere di seguito, anche per quella ripresa è stata utilizzata una luce secondaria. Senza la luce di riempimento, semplicemente non c’è modo che una parte della tuta spaziale dell’astronauta non venga oscurata, come nella foto del rover sopra.

Passando quindi al prossimo aspetto, abbiamo il mistero del mirino che scompare. Il problema, secondo gli scettici, è che i segni di riferimento del mirino, che sono stati incisi sugli obiettivi della fotocamera e quindi dovrebbero apparire sempre sopra qualsiasi oggetto nelle foto, a volte scompaiono dietro quegli oggetti.

In effetti, Plait ha ragione nello spiegare il fenomeno come un problema di sovraesposizione e contrasto. Quando alcuni degli oggetti più luminosi nelle foto sono sovraesposti, il reticolo sottile tende a sbiadirsi. Questa è in effetti una spiegazione ragionevole dell’effetto (a proposito, ho detto in precedenza che non ero uno scienziato missilistico; sono, tuttavia, un fotografo).

L’affermazione che il reticolo avrebbe dovuto essere visibile presuppone che la NASA abbia aggiunto oggetti alle foto, creando composizioni. Dubito seriamente però che sia successo. Le scene sembrano essere state allestite con molta attenzione prima che venissero scattate le foto, quindi non ci sarebbe stato bisogno di tagliare e incollare. E se la NASA avesse pianificato di aggiungere ulteriori elementi alle foto, dubito che avrebbe complicato quel processo utilizzando fotocamere con reticolati; sarebbe stato molto più semplice creare prima i compositi e poi sovrapporre i segni della griglia su di essi.

Tuttavia… lo stesso non si può certo dire delle immagini che pretendono di mostrare varie parti della navicella volanti nello spazio. Prendete in esame l’immagine qui sotto, ad esempio, che dovrebbe essere un rendering bidimensionale di una scena tridimensionale dei moduli di comando e di servizio in orbita lunare. Se fosse una scena tridimensionale reale, l’astronave si troverebbe a 69 miglia sopra la superficie lunare, il che, credo, renderebbe difficile per una parte di quel terreno lunare oscurare parte dell’assemblaggio di antenne in banda S della navicella.

Lo scatto, come si può vedere nell’ingrandimento qui sotto, è chiaramente un composito. E nemmeno ben fatto. Quindi è del tutto possibile che anche alcune delle foto presumibilmente scattate sulla Luna fossero composite. Ovviamente non le ho esaminate tutte. Sto solo dicendo che quelle che ho visionato che hanno il reticolato che scompare non sembrano essere composite.

Il problema successivo con le foto della NASA è che alcune di esse sembrano avere sfondi identici ma primi piani diversi. Come spiega Phil Plait, “In una [foto], mostrano il lander lunare con una montagna sullo sfondo. Quindi mostrano un’altra immagine della stessa montagna, ma nessun lander in primo piano. Gli astronauti non avrebbero potuto scattare nessuna delle due foto prima dell’atterraggio, ovviamente, e dopo che il lander si fosse alzato in volo lasciandosi dietro la sezione inferiore. Pertanto, sarebbe stata presente qualcosa nella seconda immagine, qualunque cosa fosse, e il primo piano non avrebbe potuto essere vuoto”.

Plait comincia a ridimensionarsi affermando, in modo piuttosto esilarante: “Come sempre, ripetete dopo di me: la Luna non è la Terra”. Plait prosegue affermando che le distanze siano molto difficili da giudicare sulla Luna e che le due fotografie siano state effettivamente scattate da angolazioni molto diverse, eppure lo sfondo rimane praticamente invariato perché, nonostante le apparenze, fosse davvero molto, molto lontano. O è così, o uno degli astronauti era davvero David Copperfield.

Le due fotografie appaiono di seguito. Lascio ai lettori la decisione, come sostiene Plait, se le “montagne” siano in realtà di parecchio, molto più lontane dal lander di quanto il lander non lo sia dal fotografo. E lo farò facendovi notare che Phil non fornisce né le fotografie né un collegamento ad esse, ma chiede invece ai lettori di accettare ciò che sostiene sulla base della fede. Mi chiedo perché lo avrebbe fatto se era così sicuro delle sue conclusioni? Mi chiedo anche perché, nella foto finale, il lander sembri parcheggiato molto più vicino alle “montagne” di quanto Plait vorrebbe farci credere.

Continua…

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