MENANDO IL CAGNOLINO LUNATICO PER L’AIA (PARTE XI)

Fonte: Center For An Informed America

Di Dave McGowan
30 dicembre 2009

“Osservare la Terra così com’è veramente, piccola, blu e bella in quell’eterno silenzio dove galleggia, è osservare noi stessi insieme nelle vesti di cavalieri sulla Terra, come fratelli su quel luminoso incanto nel gelo eterno – fratelli che adesso sanno di essere davvero fratelli”.

Archibald MacLeish, Skull & Bonesman (e zio di Bruce Dern, per voi appassionati di LC), riflessione sul presunto volo dell’Apollo 8

Nel primo di questa serie di articoli, ho menzionato che la storia dell’Apollo fosse collegata alla storia di Laurel Canyon grazie ad una struttura chiamata Lookout Mountain Laboratory, lo studio cinematografico top-secret e all’avanguardia della comunità d’intelligence incastonato sopra le colline di Hollywood. A quanto pare, ci sarebbe anche un’altra connessione interessante: durante l’arco di un mese esatto, durante la famigerata estate del 1969, le storie di Laurel Canyon e dell’Apollo hanno raggiunto una sorta di climax simultaneo.

Il 16 luglio 1969, l’Apollo 11, la missione che avrebbe fatto atterrare l’uomo sulla Luna per la prima volta, eseguì il decollo. Cinque giorni dopo, il 21 luglio, Neil Armstrong e Buzz Aldrin avrebbero messo piede per la prima volta sul suolo lunare. Tre giorni dopo, il trio di astronauti dell’Apollo tornò trionfalmente a casa, accolto eroicamente. Esattamente una settimana dopo, le autorità ricevettero la prima lettera del cosiddetto killer dello zodiaco. Otto giorni dopo, la notte dell’8 agosto 1969, Sharon Tate e altri quattro vennero massacrati nella casa di Roman Polanski a Benedict Canyon. La notte successiva, Rosemary e Leno LaBianca vennero trucidati nella loro casa di Los Feliz. Tutti questi omicidi sarebbero stati in seguito attribuiti al ordinario Charlie Manson e alla sua famiglia. Meno di una settimana dopo gli omicidi, alcune delle migliori band di Laurel Canyon sono salite sul palco di Woodstock per celebrare l’altro lato della scena del canyon.

Era un momento di massima bizzarria, ed estrema violenza ad altissimo profilo che si faceva strada sotto il sigillo del movimento dei figli dei fiori sia a Los Angeles che a San Francisco, mentre a 234.000 miglia di distanza, astronauti privi di vizi che assomigliavano poco agli adepti della generazione di Woodstock avrebbero trasmesso riprese in diretta dalla Luna.

Ad ogni modo, quando ci siamo interrotti stavamo discutendo dell’improbabile volo dell’Apollo 8, il primissimo lancio con equipaggio di un Saturn V, che è decollato, come ho detto in precedenza, durante il solstizio d’inverno del 1968. La potente navicella spaziale Apollo, che aveva fallito la sua ultima uscita senza equipaggio, viaggiò presumibilmente fino alla Luna, effettuò dieci giri veloci nelle vicinanze più prossime della Terra, e poi tornò a casa, con tutti i suoi 9.000.000 di componenti perfettamente funzionanti.

Bisogna ringraziare, secondo la leggenda ufficiale dell’Apollo, una band di surfisti a Seal Beach. L’aviazione nordamericana, vedete, ebbe qualche problema ad impedire che l’idrogeno e l’ossigeno liquefatti durante il secondo stadio del Saturn V bollissero sotto il sole della Florida. La soluzione proposta fu quella di isolare i serbatoi del carburante con una coibentazione a nido d’ape, ma gli ingegneri della NASA ebbero problemi ad impedire che l’isolamento si staccasse. La soluzione a questo fu quella di assumere surfisti locali, che, secondo Moon Machines, possedevano delle “competenze speciali”.

La NASA affermò, tra l’altro, che avrebbe ottenuto una precisione del 99,9% nella produzione della sua navicella spaziale Apollo, il che non avrebbe dovuto essere un problema per una forza lavoro composta da scienziati missilistici nazisti, sarte di reggiseni e surfisti. Tuttavia, anche se quell’obiettivo ambizioso fosse stato raggiunto, ciò avrebbe comunque lasciato 9.000 componenti difettosi per ogni veicolo di lancio (6.000 se la cifra di 6.000.000 di componenti è corretta).

La prima presunta trasmissione in diretta dalla Luna è avvenuta durante le prime ore della serata alla vigilia di Natale, anche se sono sicuro che sia stato solo un evento casuale. I tre astronauti presumibilmente a bordo dell’Apollo 8 (Frank Borman, William Anders e il sempre popolare Jim Lovell), in quello che venne presentato come un gesto puramente spontaneo, si sono alternati leggendo ad alta voce dieci versi del libro della Genesi, i quali furono seguiti da: “Buona notte, buona fortuna, buon Natale e Dio benedica tutti voi – tutti voi sulla buona Terra”. Chiaramente la gente di Gedeone aveva lasciato premurosamente una delle loro bibbie nella capsula qualche tempo prima del lancio.

Il tempismo impeccabile della trasmissione “storica” ​​dell’Apollo 8, a quanto si dice ascoltata da una persona su quattro sul pianeta, avrebbe stabilito uno standard che sarebbe stato rispettato da tutti i successivi voli Apollo. La primissima passeggiata lunare di Neil e Buzz venne trasmessa (dal “vivo” ovviamente) alle 21:00, fuso orario della costa orientale, come se fosse stata una partita di football del lunedì sera. Le passeggiate lunari in prima serata divennero un punto fermo del programma Apollo, a tal punto che non fosse affatto raro che le reti televisive venissero inondate di lamentele nel momento in cui una popolare sitcom settimanale veniva anticipata per l’ennesima finta passeggiata lunare “dal vivo”.

Dopo il secondo falso allunaggio, la NASA ha iniziato ad aggiungere nuovi ed entusiasmanti elementi alle missioni Apollo per combattere l’apatia pubblica. L’Apollo 13, come sappiamo, ha aggiunto l’elemento del pericolo. L’Apollo 14 ci ha mostrato la Luna in technicolor, con le prime trasmissioni video a colori. L’Apollo 15 ci ha intrattenuto aggiungendo un buggy lunare. E l’Apollo 17 è stato caratterizzato dal primo e unico, spettacolare lancio notturno di un razzo Saturn V.

L’Apollo 8 fu rapidamente seguito dall’Apollo 9, il cui decollo era originariamente previsto per il 28 febbraio 1969, appena due mesi dopo che l’equipaggio dell’Apollo 8 fosse naufragato. Fortunatamente, l’acqua nel sud della California è leggermente fredda durante i mesi invernali e le onde non sono così perfette, pertanto i surfisti a Seal Beach probabilmente riuscirono a fare un sacco di straordinari per soddisfare l’impegnativo programma di produzione.

L’Apollo 9 è stato il primo volo Saturn V ad integrare si presume un modulo lunare nascosto a bordo. La missione presumibilmente prevedeva le prime manovre di attracco e il primo decollo di un modulo lunare, sebbene in orbita terrestre bassa piuttosto che in orbita lunare. L’Apollo 9 è stato anche presumibilmente la prima missione il cui equipaggio ha indossato le tute spaziali Apollo/Playtex di nuova concezione.

Tutto sommato, il viaggio di dieci giorni dell’Apollo 9 nell’orbita terrestre bassa è stato in gran parte una delusione date che l’equipaggio precedente aveva presumibilmente viaggiato fino alla Luna e ritorno (e lo avevano fatto, come dei veri cowboy, senza le nuove tute magiche). Ci fu però una cosa molto strana, mai menzionata nelle storie ufficiali del programma spaziale, che accadde durante il viaggio dell’Apollo 9.

Mentre ci si rilassava nel modulo di comando, svincolati da tute spaziali, guanti e caschi, e con il lusso di poter tenere in mano le fotocamere della NASA, l’equipaggio (James McDivitt, David Scott e Rusty Schweickart) scattò foto di ciascuno di loro sfocate, mal composte e non particolarmente ben esposte – che sono, senza dubbio, esattamente i risultati che ci si aspetterebbe da fotografi dilettanti che utilizzano fotocamere prive di mirino.

Tuttavia, dopo che gli stessi astronauti si sono infilati le loro tute, i guanti e i caschi, e si sono in seguito avventurati per una passeggiata spaziale, rendendo piuttosto difficile per loro stare in equilibrio (e quindi stabilizzare le macchine fotografiche), è successo qualcosa di veramente meraviglioso e magico: l’equipaggio dell’Apollo 9 ha improvvisamente acquisito la capacità di riprendere composizioni assolutamente straordinarie che sembrano prodotte professionalmente in uno studio. Sebbene sia difficile scegliere una preferita, quella con il riflesso della Terra perfettamente incorniciata in una delle visiere del casco dell’attore è piuttosto impressionante.

Tutti gli astronauti delle future missioni Apollo, ovviamente, si sono dimostrati anche fotografi eccezionali, ma solo quando operavano nelle condizioni più difficili. Neil Armstrong, presumibilmente il primissimo fotoreporter a lavorare sulla Luna, l’ambiente più estraneo, fissò l’asticella estremamente in alto per tutti quelli che fossero venuti dopo. HJP Arnold, considerato una delle maggiori autorità mondiali nel campo della fotografia spaziale prima della sua morte nel giugno 2006, una volta disse del rotocalco fotografico presumibilmente scattato da Armstrong:

“Quella sequenza di immagini sulla superficie lunare, scattata principalmente da Armstrong naturalmente con quell’unica fotocamera… Quella sequenza probabilmente potrei dire che non è mai, mai stato migliorato, né sulla Luna né successivamente. Quasi tutte le immagini relativamente piccole scattate da Armstrong sembrano essere splendidamente composte. Ricordate la classica foto di Aldrin con la sua visiera che riflette l’intera scena dell’atterraggio: il modulo lunare, la bandiera, la telecamera e Armstrong che scatta la foto, ehm, riflessa nella visiera? È un’immagine straordinaria!”

Nonostante tutti i consensi ricevuti per le sue imprese come astronauta, a Neil Armstrong è stato chiaramente ingiustamente negato il riconoscimento delle sue incredibili capacità di fotografo. Alcuni potrebbero obiettare che chiaramente non fosse allo stesso livello di, diciamo, un Ansel Adams, ma mi permetto di dissentire. Adams ha creato un lavoro impressionante, certo, ma avrebbe potuto farlo indossando una tuta spaziale, dei guanti e un casco, e con la macchina fotografica montata sul petto, mentre si adeguava ad un ambiente senza aria, a notevole riduzione di gravità, con caldo e freddo estremi?

Penso di no.

A proposito di foto allestite, date un’occhiata alla foto qui sotto, presumibilmente scattata sulla Luna dagli ultimi uomini che hanno messo piede lì, l’equipaggio dell’Apollo 17 (Gene Cernan, Ronald Evans e Jack Schmitt). Mi ricorda qualcosa che ho già visto, forse un qualche tipo di simbolo, ma non riesco proprio a collocarlo. (Se volete divertirvi ancora con le immagini Apollo, visitate il sito di Jack White all’indirizzo http://www.aulis.com/jackstudies_index1.html, dove troverete un’analisi più approfondita delle irregolarità delle foto rispetto ad analisi che ho visto altrove.)

Appena due mesi dopo il ritorno dell’Apollo 9, la NASA ha inviato l’Apollo 10 sulla Luna, con a bordo Tom Stafford, John Young e Gene Cernan. L’agenzia spaziale, ovviamente, voleva sbarazzarsi il più rapidamente possibile dei falsi viaggi preliminari per poter accedere all’evento principale. Il ritmo di lancio rallentò notevolmente una volta iniziati i falsi atterraggi con il volo successivo, l’Apollo 11, che è decollato appena sette settimane dopo il ritorno dell’Apollo 10.

L’Apollo 10, il terzo lancio con equipaggio di un Saturn V, sarebbe andato ancora una volta sulla Luna, questa volta con un modulo lunare montato sul muso del modulo di comando. La missione Apollo 10 avrebbe incluso tutto ciò che le missioni successive avevano sperimentato tranne l’atterraggio effettivo sulla superficie lunare. Una volta presumibilmente in orbita lunare, il modulo lunare venne rilasciato e scese giù abbastanza vicino alla superficie, prima di tornare e attraccare con successo ai moduli di comando e di servizio.

Dopo aver sopportato il pericoloso lancio iniziale, e poi il viaggio di un quarto di milione di miglia verso la Luna, seguito dal dispiegamento e volo riuscito del LEM, ed essere arrivato a poca distanza dall’essere i primi uomini a creare quelle storiche prime impronte sulla Luna, sarebbe stato naturalmente allettante ignorare il controllo della missione e partire per una rapida passeggiata nella storia. Per evitare ciò, secondo la mitologia ufficiale, la NASA diabolicamente rifornì il LEM con poco carburante per la missione Apollo 10.

Non c’era, ovviamente, alcuna possibilità che alcune circostanze impreviste potessero aver reso necessario l’uso di quel carburante aggiuntivo, o reso necessario un atterraggio sulla Luna, che sarebbe stato un po’ un incubo con le pubbliche relazioni per l’agenzia. Walter Cronkite avrebbe dovuto dare la notizia al popolo americano: “L’equipaggio dell’Apollo 10 sono stati inaspettatamente i primi uomini a mettere piede sulla Luna solo pochi istanti fa, e ci hanno promesso a breve riprese dal vivo. Sfortunatamente, la loro navicella spaziale è stata rifornita deliberatamente con poco carburante, quindi non saranno in grado di effettuare il volo di ritorno per attraccare alla nave madre ed entrambi gli astronauti moriranno presto. In ogni caso, questo dovrebbe creare uno spettacolo avvincente, quindi restate sintonizzati.”

L’ultimo dei principali contratti da aggiudicarsi per l’Apollo è stato quello per i sempre popolari rover lunari, noti anche come buggy lunari. L’idea iniziale per un veicolo lunare è generalmente attribuita al nazista preferito di Walt Disney, Wernher von Braun, che immaginò un laboratorio mobile e pressurizzato del peso di circa quattro tonnellate, in grado di trasportare provviste sufficienti a mantenere in vita due astronauti per un massimo di due settimane. Il concetto, soprannominato MoLab, avrebbe richiesto il lancio di un razzo Saturn V separato, quindi l’idea venne abbandonata perché troppo costosa (sebbene la NASA pare abbia avuto una fornitura praticamente inesauribile di Saturn V; quando il programma Apollo è stato cancellato, la NASA aveva già costruito tutto l’hardware per i voli 18, 19 e 20 e aveva anche addestrato gli equipaggi.)

La NASA aveva rinunciato del tutto all’idea di collocare un veicolo sulla Luna, ma i laboratori di ricerca sulla difesa della General Motors presumibilmente continuarono, investendo i soldi della società nella ricerca e nello sviluppo del veicolo. Secondo la storia, la NASA disse al team della GM che se fossero riusciti in qualche modo a trovare un modo per montare un veicolo operativo in uno degli alloggiamenti incredibilmente piccoli per le apparecchiature del modulo lunare, l’agenzia avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di integrare il veicolo nelle future missioni Apollo.

Parlando dei moduli lunari, tra l’altro, mi è capitato di imbattermi nella foto qui sotto del potente motore di discesa del LEM, che, come si vede chiaramente, non avrebbe quasi occupato spazio durante la fase di discesa della spaziosa navicella. Neanche i serbatoi del carburante avrebbero richiesto molto spazio, quindi avrebbe dovuto esserci abbastanza spazio per riporre un dune buggy pieghevole in un vano attrezzatura curiosamente vuoto.

Di seguito è riportata un’immagine approvata dalla NASA del rover piegato e pronto per essere riposto nel vano attrezzature assegnato, insieme ad una foto del rover pieghevole presumibilmente riposto su un LEM che ha chiaramente visto giorni migliori. Ed ecco un breve video clip della dimostrazione del dispiegamento del rover pieghevole, presumibilmente all’interno dell’impianto di produzione.

Come si può chiaramente vedere, in particolare nel video clip, il rover, come inizialmente dispiegato, era tutt’altro che completo. Sembra che mancassero cose come un pianale, sedili, telecamere, antenne, pacchi batteria e vari altri componenti, il che solleva alcune domande, ad esempio dove sono state riposte tutte gli altri componenti del rover? Quanti alloggiamenti vuoti erano disponibili per ospitare tutti i vari componenti del rover? E quanto tempo hanno impiegato esattamente gli astronauti, date le limitazioni imposte dalle loro tute e guanti, a dispiegare e assemblare completamente un buggy lunare?

L’abile team di ricerca e sviluppo della GM, guidato dal project manager Sam Romano e dal capo ingegnere Ferenc Pavlics, presumibilmente inventò l’innovativo concetto di rover pieghevole in meno di un mese e, nel luglio del 1969, mentre Armstrong e Aldrin stavano presumibilmente muovendo i primi passi dell’uomo sulla Luna, la GM si aggiudicò l’appalto per la progettazione e la costruzione dei rover. La GM si mise a lavoro rapidamente in collaborazione con Boeing, con due sfide significative da superare: il rover doveva adattarsi all’alloggio assegnato e il peso totale doveva essere mantenuto ad un massimo di 400 libbre. Inoltre, il team dovette passare dai disegni concettuali al rover pronto per la missione in soli 17 mesi.

Come successo per tutti gli altri aspetti del programma Apollo, quegli nobili obiettivi si sono rivelati sorprendentemente facili da raggiungere. All’inizio del 1971, la GM e la Boeing avevano già consegnato il loro primo rover alla NASA pronto per la missione, per i test finali e l’approvazione. Il 31 luglio 1971, appena due anni dopo l’assegnazione del contratto, quello che rimane ad oggi l’unico veicolo con equipaggio ad essere atterrato presumibilmente su un corpo extraterrestre, iniziava a sollevare polvere lunare.

Il prodotto finito non sembrava dissimile da un dune buggy terrestre, anche se con la capacità unica di ripiegarsi ordinatamente. Il veicolo era dotato di sterzo simultaneo anteriore e posteriore e pneumatici in rete d’acciaio montati su ruote azionate ciascuna da motori separati. L’alimentazione era presumibilmente fornita da una serie di batterie montate sulla parte anteriore del rover.

Dal momento che nessuno sapesse davvero che tipo di veicolo sarebbe stato necessario per guidare sulla Luna, i primi rover concettuali andavano dai veicoli con ruote enormemente sovradimensionate, a quelli spinti da cingoli simili a carri armati, alle viti di Archimede che sarebbero state in grado di scavare attraverso il terreno lunare come talpe meccaniche. Fortunatamente, attraverso un’ampia ricerca e sviluppo, il team Apollo fu in grado di dedurre esattamente quali componenti di progettazione avrebbero consentito ai rover di operare con la massima efficienza sul terreno lunare.

O almeno così dice la storia. In realtà, il team del rover ovviamente non aveva tempo di fare molto in termini di ricerca, sviluppo e test. I sovietici, d’altra parte, presero molto sul serio lo sviluppo del loro veicolo lunare, abbastanza seriamente da passare un intero decennio a ricercare, sviluppare e mettere a punto incessantemente ogni aspetto del proprio rover robotico.

Soprannominato il Lunokhod (la cui traduzione inglese è “Michael Jackson” … ehm, aspettate un minuto, fai un “Moonwalker”), il rover sovietico era una meraviglia ingegneristica dotata di una serie di telecamere fisse e televisive, nonché di un vasto assortimento di apparecchiature di prova, tra cui uno spettrometro a raggi X, un telescopio a raggi X, strumenti per l’analisi del suolo, un astrofotometro, un retroriflettore laser, uno spettrometro a fluorescenza e un magnetometro.

Il Lunokhod II, schierato nel gennaio del 1973, circa trentasette anni fa, detiene ad oggi il record per aver percorso più distanza su un corpo extraterrestre (circa 23 miglia) rispetto a qualsiasi altro rover robotico – considerevolmente più lontano dei due veicoli americani del Mars Pathfinder messi insieme.

I sovietici sono stati così seri nel testare il loro rover che, nell’estate del 1968, costruirono un Lunodrom segreto (Moondrome) nel remoto villaggio di Shkolnoye. Con una superficie di circa due acri, il Moondrome presentava crateri fino a 50 piedi di diametro e finte rocce lunari di tutte le forme e dimensioni. Sarebbe stato, inutile dirlo, un posto eccellente per creare finte foto della luna e filmati televisivi, sebbene la saggezza convenzionale, ovviamente, sostenga che gli scienziati sovietici e gli scienziati americani non andassero molto d’accordo a quei tempi.

È difficile però non concludere che la NASA si sia sostanzialmente appropriata della ricerca sui rover lunari condotta dai sovietici e fatta propria. Secondo un documentario francese (Tank on the Moon), i sovietici hanno effettivamente trascorso parecchi anni a ricercare tutti i vari mezzi di locomozione che anche la NASA affermasse stesse studiando. E dopo averlo fatto, gli ingegneri russi (guidati da Alexander Kemurdjian, con il quale la NASA si è poi consultata per il suo progetto Pathfinder) hanno tirato fuori molti degli stessi elementi chiave di design che erano stati utilizzati sui rover lunari della NASA, come i pneumatici a rete e le ruote motorizzate indipendenti.

I veicoli Lunokhod avevano otto ruote, ognuna con motore proprio, sospensioni e freno indipendenti. I rover sono stati “guidati” da una squadra di cinque uomini qui sul pianeta Terra, utilizzando immagini panoramiche trasmesse in tempo reale che facessero da guida ai veicoli robotici. Il team di progettazione aveva sviluppato un lubrificante speciale che avrebbe funzionato nel vuoto e aveva racchiuso ciascun motore delle ruote in un alloggiamento pressurizzato. Le batterie del veicolo venivano ricaricate tramite un gruppo di celle solari all’interno del tetto del velivolo, che è stato tenuto aperto durante il giorno sulla luna. Durante la gelida notte lunare, il rover andava in letargo, tenuto al caldo da una fonte interna di calore radioattiva.

Il Lunokhod I è sceso sulla Luna il 17 novembre 1970, pochi mesi prima che la NASA avesse pronto il primo rover lunare per la missione. Quando quel primo rover avrebbe atterrato sulla Luna otto mesi dopo, nel luglio del 1971, il Lunokhod I stava ancora percorrendo il paesaggio lunare.

Continua…

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